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Chi sono e cosa vogliono i 'gilet gialli' italiani

Mentre in Francia la protesta va avanti da quasi due mesi, anche in Italia c'è chi sta pensando di trasformare il gilet giallo in un simbolo di rivolta.
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Collage via Facebook (MLI e Gilet Gialli).

Sono ormai passati due mesi da quando i gilet gialli hanno cominciato a scendere in piazza ogni fine settimana in tutta la Francia per protestare (almeno inizialmente) contro l’aumento delle accise sui carburanti, e col passare delle settimane il movimento ha finito per diventare qualcosa di estremamente variegato e confuso, che unisce rivendicazioni di destra e di sinistra. Il gilet giallo ha cominciato a trasformarsi sempre più in un generico simbolo di rivolta, paragonabile alla maschera di V per Vendetta.

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Mentre questo accadeva, la protesta superava i confini francesi. Inizialmente si è diffusa al Belgio e all’Olanda, poi le apparizioni di gilet gialli in manifestazione si sono verificate un po’ dovunque, dal Libano alla Giordania, e in Egitto il governo ha vietato la vendita dei gilet catarifrangenti. Qui da noi prima di arrivare in piazza se n’è impadronita la politica—un po’ tutte le forze politiche hanno guardato con attenzione al fenomeno, cercando di appropriarsene o di tirarci fuori qualcosa per i loro scopi.

Così sia CasaPound che Potere al Popolo sono andati in piazza a Parigi, mentre Forza Italia si è rifatta a quell’estetica e ha lanciato i “gilet azzurri” (con scritto “basta tasse”) indossati dai suoi deputati durante un flash mob contro l’approvazione della manovra—con la benedizione di Berlusconi, il quale ha promesso che “a gennaio saranno nelle piazze di tutte le città italiane.”

Allo stesso tempo, i gilet (gialli o di altri colori che siano) riuscivano a essere contemporaneamente di lotta e di governo: già lo scorso dicembre Beppe Grillo spiegava al Fatto Quotidiano che le istanze dei gilet gialli sono “tutti temi che abbiamo lanciato noi,” mentre Di Battista le definiva “sacrosante.”

E lunedì scorso è arrivato anche un messaggio di Di Maio sul blog del M5S, che ha incitato i gilet gialli francesi a non mollare paragonandoli al M5S delle origini: “Una nuova Europa sta nascendo. Quella dei gilet gialli, quella dei movimenti, quella della democrazia diretta. È una dura battaglia che possiamo combattere insieme. Ma voi, gilet gialli, non mollate!” Poco dopo anche Salvini ha espresso sostegno ai gilet gialli, esprimendo allo stesso tempo una “assoluta, ferma e totale condanna di ogni violenza.”

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Ma in Italia non mancano nemmeno forme manifestazione più o meno spontanee e disorganizzate ispirate ai gilet.

Lo scorso 5 dicembre si è tenuta una manifestazione (molto poco partecipata) davanti a Montecitorio, a cui hanno preso parte l'ex generale dei carabinieri Antonio Pappalardo, alcuni sovranisti individuali ed esponenti di Calabresi in Movimento, il partito di cui Diego Fusaro è presidente onorario.

Per il resto, a portare in Italia i gilet gialli ci ha pensato anche Salvatore Bussu, un imprenditore agricolo di Alghero già attivo nel M5S sardo, che il 10 dicembre scorso ha registrato all’Ufficio brevetti e marchi il logo “Gilet gialli” con un giubbotto catarifrangente e un tricolore.

Intervistato dall’AdnKronos, Bussu ha spiegato che il M5S ha abbandonato i cittadini e che la sua ambizione è trasformare il movimento dei gilet gialli in un partito per “portare avanti un discorso serio, certamente non con i toni che ci sono in Francia”

“Siamo i soli a poter utilizzare quel simbolo e quel nome. In tanti usano quella sigla, ma senza simbolo non si va da nessuna parte,” ha spiegato, raccontando di aver ricevuto offerte anche economiche da diversi esponenti politici per cederlo. Per il momento però per quanto ufficiale e registrata, l’iniziativa di Bussu è ancora un contenitore vuoto senza rivendicazioni politiche. “Noi stiamo parlando di una cosa seria, ci stiamo muovendo con i piedi di piombo per preparare un programma. Non vogliamo andare allo sbaraglio.”

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Prima di Bussu c’era già stato un tentativo informale di portare in Italia i gilet gialli. A provarci era stato il Coordinamento Nazionale Gilet Gialli Italia—una pagina Facebook con 12mila like e una serie di gruppi chiusi collegati, uno per ogni regione d’Italia e ciascuno con un centinaio di membri.

Dietro il Coordinamento ci sono l’ex parlamentare del M5S Ivan Della Valle e Giancarlo Nardozzi, un venditore ambulante di Torino presidente del Goia (Gruppo organizzato indipendente ambulanti) e vicino ai Forconi. Lo scorso 14 dicembre i due hanno fatto un Facebook live sulla pagina del Coordinamento per presentarsi, in cui hanno spiegato di aver visto nascere “questo movimento” in Francia e di aver deciso di crearlo anche in Italia.

Dal punto di vista delle rivendicazioni, queste sono chiare fin dalla foto della pagina del Coordinamento—un gilet giallo con scritto sopra “ItalExit” (probabilmente fatto con MS Paint). Come spiega un lungo post sulla pagina, l’uscita dell’Italia dall’euro è l’obiettivo primario e principale, un “obiettivo condiviso sia dalla Lega che dal M5S ma che per motivi politici non è entrato nel contratto di governo.” Ma non c’è solo questo: c’è anche un sacco di roba di e su Paolo Barnard, ad esempio; rivendicazioni mutuate dal movimento francese come la riduzione delle accise sulla benzina e la battaglia contro il franco Cfa (“l’’euro francese’ con il quale la Francia sottomette l’Africa e gli impedisce di svilupparsi economicamente”); e persino la battaglia NoTav.

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Sia per il modo in cui cerca di organizzarsi su base regionale sia per il tentativo di sistematizzare le rivendicazioni (talvolta con sondaggi su Facebook per chiedere agli utenti come dovrebbe porsi su un determinato tema), il Coordinamento sembra essere il più avanzato tra i vari gruppi di gilet gialli italiani, ma non è l’unico. Negli ultimi due mesi infatti sono nate diverse altre pagine e gruppi Facebook che vorrebbero organizzare proteste come quelle dei gilet gialli anche in Italia.

Tra queste spiccano Gilet gialli (1700 like) che si definisce “un'unione di persone libere che vogliono ribellarsi contro l'oligarchia finanziaria dei banchieri e le lobby internazionali” e il cui slogan è “la rivolta dei popoli contro il mondialismo.” La pagina ha anche un sito collegato (www.giletgialli.it—mossa intelligente registrare il dominio) su cui si trovano una serie di rivendicazioni che vanno da “Italexit” fino alla riduzione dell’IVA al 12 percento, l’università gratuita e la “salvaguardia ambientale,” passando per il “no all’obbligo dei vaccini.”

Un’altra pagina di questo tipo è Gilet Gialli (con la maiuscola questa volta, un migliaio di like) che sembra essere molto più di sinistra delle altre. Sulla pagina c’è un proclama in cui si dice che “il sussulto francese è anche il nostro” e le rivendicazioni sembrano concentrarsi più su aspetti economici quali il caro vita, le accise e il crollo del potere d’acquisto. “Vogliamo il potere di decidere come meglio possano essere investiti i soldi pubblici verso la costruzione di politiche sociali che tendano ad includere e non ad escludere gli individui,” si legge, accanto a richieste come la cancellazione del Jobs Act, della legge Fornero e la reintroduzione dell’articolo 18.

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Questo piccolo gruppo sembra essere quello più “di sinistra” e più legato alla politica tra i vari gilet gialli. Uno dei gestori della pagina mi ha spiegato via mail che si tratta di “gruppo di giovani ragazzi, lavoratori, precari, disoccupati e studenti” con “varie esperienza di attivismo in associazioni e giovanili di partito.” Riunisce persone “con tendenze culturali e politiche di varie estrazioni, ma con punti fissi rispetto all’antifascismo come base fondante della nostra Costituzione.”

C’è poi anche Gilet Gialli, un gruppo Facebook con circa 7mila membri che fa riferimento a una pagina Facebook chiamata Noi siamo il Popolo noi siamo lo stato (circa 3mila like) e a un blog (gilegialli.blogspot.com) dove vengono pubblicati dei “comunicati stampa.” L’ultimo di questi diffida chiunque dal proclamarsi leader della protesta o dall’avvicinarla a partiti, dall’utilizzare il nome e il simbolo dei gilet gialli per fini di partito e dal creare fratture e frizioni all’interno del movimento.

In apparenza quest’ultimo non sembra niente di particolare, ma in realtà è probabilmente quello meglio organizzato tra i vari gruppi—un’organizzazione che si manifesta fuori dai social, come mi hanno spiegato via email i gestori. Ci sono infatti dei gruppi WhatsApp regionali “collegati a un broadcast che fornisce gli aggiornamenti quotidianamente” e dei legami con i gilet gialli francesi con cui “ci si consulta scambiano informazioni e strategie” tramite Skype. Di recente il gruppo ha organizzato “una carovana della solidarietà, composta da gilet gialli, che ha attraversato l'Italia per raggiungere il confine” e dare sostegno.

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A livello politico, il loro focus sembra essere principalmente sulla democrazia diretta, “perché la storia ha dimostrato che con l’attuale democrazia rappresentativa siamo stati, siamo e saremo le impotenti vittime delle volontà di ristretti gruppi di persone, portatori degli interessi di pochissime persone che lucrano senza vergogna sulle spalle della povera gente.” È un discorso che somiglia molto a quello del M5S delle origini—anche nel porsi né a destra né a sinistra, considerate egualmente colpevoli. Questi gilet gialli dicono di “non avere schieramenti politici alcuni” e per quanto riguarda il loro programma mi hanno spiegato che “le richieste dei gilet gialli in Italia sono scaturite da un sondaggio sottoposto ai circa 10mila membri che ci seguono.”

Tutti questi tentativi hanno in comune, oltre ad alcune rivendicazioni come l’uscita dall’euro, il fatto di essere ancora in fase embrionale e di concentrarsi sull’attivismo online. In pratica, l’attività principale di queste pagine e di questi gruppi è quella di ripostare foto e video delle manifestazioni francesi e fomentarsi.

L’unico che ha già in programma di passare all’azione in piazza sembra essere il Coordinamento: in un’intervista a Repubblica Torino, Nardozzi aveva parlato della volontà di organizzare una manifestazione “anche dura, come quelle che c’erano state nel periodo dei Forconi” ma pacifica, e aveva detto che se ne sarebbe parlato più avanti, “magari a gennaio, ma non abbiamo ancora pensato a una data.”

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Chi poi sta cercando attivamente di portare i gilet gialli in piazza in Italia è Fabio Frati, già noto alle cronache come sindacalista e per essere stato tra i leader delle proteste e degli scioperi Alitalia nel 2008. Nella sua carriera Frati è passato dalla Cgil a sindacati sempre più di sinistra come Sulta e Cub e di recente è approdato al Comitato centrale di Programma 101—un “Movimento Popolare di Liberazione” (stando al sito) che si definisce di “sinistra patriottica.”

Se per aspetto il sito di Programma 101 sembra uno stargate in comunicazione diretta con il movimentismo confusionario e proto-complottista dei primi anni Duemila, i contenuti lo fanno sembrare una specie di pezza d’appoggio di sinistra al governo Lega-M5S sulla base dell’ostilità all’euro e all’Unione Europea—che è anche la chiave con cui vengono interpretati i gilet gialli da Frati in un video sul sito.

“La rivolta nel cuore dell’Europa continua e noi abbiamo deciso di organizzare un incontro con i gilet gialli,” dice Frati indossando un gilet giallo e spiegando che ancora una volta “come 200 anni fa” il popolo francese sta mostrando ai popoli europei come ci si ribella. Per questo motivo, spiega, Programma 101 ha deciso di organizzare un incontro il 12 gennaio a Roma con alcuni rappresentanti del movimento dei gilet gialli—sul cui volantino compare, tra gli altri, anche il nome di Mariano Ferro, uno dei fondatori del movimento dei Forconi siciliano.

E così torniamo di nuovo ai Forconi. Per la confusione nelle rivendicazioni, l’aspetto pre-politico che li caratterizza e la spontaneità con cui proliferano i gruppi e le pagine di coordinamento, i gilet gialli italiani ricordano molto quello che è successo nel 2013. L’impressione è confermata dal fatto che anche alcuni dei leader di quella protesta stanno ricomparendo per riprovarci di nuovo, stavolta con i gilet gialli, a conferma del fatto che le radici profonde di quell'esperienza continuano a sussistere.

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