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Musica

Le inquietanti opere fiabesche

Se finora le favole non vi hanno inquietati, la loro trasposizione operistica può darvi una mano.

Sentendomi un po’ troppo serena, ultimamente ho deciso di dedicarmi a fiabe e favole: prevalentemente roba old school tipo Andersen e Perrault, ma anche quel tenebrosone di Hoffmann.

Se avete visto solo i cartoni animati di Cenerentola e La Sirenetta e non avete mai sentito parlare dei Notturni di Hoffmann dovrò insegnarvi proprio tutto quanto a perversione favolistica: fantasie di abbandono, angosce di evirazione, invidie del pene, complessi edipici irrisolti, problemi identitari, crisi psicosociali, e così via. Le opere musicali tratte da queste storie spesso riescono a conservarne il tratto morboso con più successo dei cartoni animati, quindi prenderemo in considerazione anche quelle. Ma procediamo con ordine, come nella degustazione di formaggi, dal più innocuo al più letale, in un progressione di sapori sempre più inaccettabili e malati.

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CENERENTOLA – Charles Perrault, Gioacchino Rossini

Favola probabilmente di origine orientale, data l’ossessione feticistica per il piedino minuscolo. Il primo a riscriverla nel 1680 fu Charles Perrault, nel volume Racconti e storie del passato con una morale, col sottotitolo più melenso mai sentito: I racconti di mamma oca. Appare grottesco che una raccolta di fiabe così inoffensiva sia stata inizialmente pubblicata a nome del terzo figlio di Perrault, finito in carcere in seguito a qualche rissa, nel tentativo del padre di rifargli una reputazione. Non voglio rovinare la giornata a nessuno, ma devo informarvi che solo a causa della distrazione di QUALCUNO (sempre Perrault) la scarpetta che originariamente era di pelliccia di scoiattolo (in francese “vair”), divenne la scarpetta di vetro “verre”: e c’è chi sostiene che l’equivoco non sia frutto di una semplice svista (Bettleheim ne Il Mondo Incantato), ma maligna che il sottotesto di una scarpetta pelosa in cui il principe vuole disperatamente calzare il piedino fosse fin troppo evidente e quindi sia stato censurato perché… insomma devo proprio spiegarlo? Sempre nella versione originale della favola si descrive la scena poco edificante delle sorellastre che per cacciare i loro piedoni deformi dentro la scarpina (che in realtà abbiamo scoperto essere praticamente uno scoiattolo morto) si auto-mutilano i talloni callosi e dita storte.

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La Cenerentola, ossia La bontà in trionfo è il titolo dell’opera di Rossini basata sul racconto di Perrault. Il brio e lo humor del caro Gioacchino riescono a trasformare questa favola notevolmente triste in una spassosa farsa borghese. Nella versione di Rossini gli elementi magici e fiabeschi sono sostituiti da equivoci e travestimenti tipici dell’opera buffa: il principe Ramiro si presenta nelle vesti di paggio, mentre il suo servitore si spaccia per principe per mettere alla prova quanto sincero sia l’interesse delle fanciulle e quanto invece siano solo attaccate al soldo e al titolo regale. Ovviamente Cenerentola è l’unica a passare il test innamorandosi del principe anche nelle vesti di paggio. L’eliminazione dell’elemento magico è spietata: non c’è nessuna fatina, ma è il precettore di Don Ramiro, Alidoro, che procura a Cenerentola l’outfit per la serata. In questa versione manca addirittura la scarpetta, e qui accade un fatto strano: pur non avendo nessun coprifuoco imposto, Cenerentola, proprio nel momento felice in cui lei e il principe (ancora travestito da paggio) si sono appena dichiarati decide che si è fatta na certa e che è giunto il momento di scappare e lascia al principe allupato come non mai il suo braccialetto, dicendo che se la ama dovrà cercarla e ridarglielo. Più che la disperazione di una Cenerentola disneyana che deve darsi alla fuga a rotta di collo mentre perde pezzi di abbigliamento, io in questa mossa ci vedo una buona dose di malizia femminile e civetteria: una strategia di flirt avanzata che consiste nel mettere ostacoli invece di toglierli. I due momenti che preferisco di questa opera sono l’ouverture e il finale, in cui Cenerentola perdona il padre e le sorelle per essere stati delle merde (qui interpretata dalla Bartali che con la sua bruttezza e le sue smorfie disumane rende il tutto ancora più divertente). Già da questi due ascolti potete farvi un’idea dello stile di Rossini: il cosiddetto “crescendo rossiniano” è una di quelle cose che non fa solo muovere un po’ il piedino a ritmo, ma può condurre facilmente a risate isteriche e applausi incontrollati.

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LA SIRENETTA – Han Christian Andersen, Antonin Dvorak

Non so che cosa vi abbiano detto su Andersen, ma quell’uomo era un disadattato. Nato di qualche cittadina danese in un contesto familiare altrettanto disadattato, con precedenti di follia, incesto, alcolismo e mitomania, ebbe anche il privilegio di essere poco attraente, secco, introverso ed effemminato, un vero brutto anatroccolo. Non sorprende che tra i temi principali della sua produzione letteraria ci sia quello del “diverso”, l’emarginato che lotta per essere accettato: sia ne Il brutto anatroccolo, che nel Soldatino di stagno e appunto ne La Sirenetta. La vera storia della Sirenetta, non ha molto a che fare con il cartone animato della Disney. Tra le differenze più notevoli: nella versione di Andersen la protagonista, la cui storia non avrà affatto un lieto fine, non ha quella tremenda chioma da pornostar rosso acceso a cui ormai è associata. Disney ha eliminato anche alcuni particolari cupi, per esempio non si capisce bene quanto l’accordo che la sirenetta accetta con la strega per essere trasformata in umana sia tra i più crudeli e svantaggiosi mai sentiti: le gambe in cambio del taglio della lingua, quindi la perdita della splendida voce e di ogni possibilità di farsi intendere, inoltre condannata alla sofferenza di poter usare le gambe ma soffrire come se ogni volta camminasse sopra coltelli appuntiti, con tanto di sangue che scorre. Se poi considerate che fra le passioni del principino c’era il trekking e che l’unica cose che lei sapeva fare per impressionarlo era ballare, vi farete un’idea delle pene di questa povera creatura. Nel leggere la favola mi è montato a livelli quasi comici l’odio nei confronti del principe: questo demente che tratta la sirenetta come la sua “trovatella muta” e la sistema a dormire su un cuscino fuori dalla sua porta come un cane. Grazie a un omuncolo del genere, che poi si sposa una principessa a caso, la sirenetta perde tutta la posta in gioco: niente anima, niente principe. La consolazione di finire con le figlie dell’aria a fare buone azioni per 300 anni per ottenere il Paradiso non sarebbe stata sufficiente per me.

Veniamo adesso all’opera che è stata tratta da questa storia, Rusalka di Antonin Dvorak (mi raccomando consultate uno specialista per la pronuncia se non volete incappare in gaffes orrende). Stessa storia, ma ambientata in atmosfere più slave di laghetti popolati da ninfe. Qui il principe, stesso personaggio senza alcuno spessore, tradisce Rusalka con una principessa straniera (curiosamente cinica e sprezzante e per questo piuttosto simpatica) ma alla fine si pente e sacrifica la propria vita per amore della ninfa (inutilmente peraltro, visto che ormai lei è dannata a vagare in solitudine negli abissi). Sforzi che fanno comunque piacere. Molto noto è l’inno alla luna che Rusalka intona perché il sonno dell’amato sia preservato prima di rivolgersi alla strega, un rassicurante e melenso déja-vu musicale.

I RACCONTI DI HOFFMANN – Hoffmann, Offenbach

Come si può non adorare quel tenebroso, poliedrico, allucinato, folle Ernst Theodor Amadeus Hoffmann? "L’uomo di sabbia", il più celebre dei suoi Racconti notturni, è una storia così sinistra e perversa da essere portata ad esempio nel saggio Il perturbante di Freud. Ne "L’uomo di sabbia" sono raccontate le ossessioni che legano il protagonista alla figura del Mago Sabbiolino “un uomo cattivo che viene dai bambini quando non vogliono andare a letto e getta loro negli occhi manciate di sabbia tanto che gli occhi sanguinanti balzano fuori dalla testa. Allora li getta nel sacco e li porta nella mezzaluna e li da da beccare ai suoi piccoli, che stanno nel nido e hanno il becco ricurvo come civette, col quale squarciano gli occhi dei bambini cattivi”. Roba così ti rovina l’infanzia effettivamente. Un ulteriore trauma è quando a un certo punto il protagonista si innamora di una strana ragazza, ed è così infottato che non si rende mica conto che lei in realtà un automa. Povero, non è certo il primo ne’ l’unico a cadere nel tranello della sopravvalutazione erotica. Nell’opera musicale tratta dal racconto, l’aria di Olympia, l’automa, è un momento spassoso in cui le cantanti fanno del loro meglio per rendere al meglio l’idiozia e la roboticità di questo manichino.

Bene, tutto ciò mi fa pensare che dormirò con la luce accesa per un bel po’.