Cultura

Riguardare The O.C. 20 anni dopo è stato più strano del previsto

Il personaggio che trovavo indigesto è quello che invece stavolta mi è piaciuto di più: Marissa Cooper. Tutti gli altri: insopportabili.
Niccolò Carradori
Florence, IT
the oc serie tv
Grab dalla Serie.

Per i maschi millennial con i capelli ricci o mossi il 2004 è stato un anno di grande ascesa sociale, un po’ come il 1997 lo fu per gli investitori del Dot-com. A milioni di adolescenti italiani bastò farsi crescere la chioma a mezzo collo per attirare, di colpo, un’attenzione mai sperimentata prima. Questo picco di mercato del capello riccio/mosso era veicolato da due personaggi iconici della cultura pop per teenager che debuttarono proprio quell’anno in Italia: Step di Tre Metri Sopra Il Cielo e Seth Cohen di The O.C.

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Se i film tratti dai romanzi di Moccia erano relegati a una certa fascia di pubblico femminile italiano, però, The O.C fu un prodotto letteralmente generazionale, capace di creare un immaginario internazionale e lanciare molti altri trend di massa duraturi (una marea di gruppi indie-rock melensi, lo sdoganamento del culto dei videogame e molto altro).

Quest’anno ricorre il 20esimo anniversario della serie ideata da Josh Schwartz, la cui prima messa in onda negli Stati Uniti partì il 5 agosto 2003, e molti trentenni in questi giorni si sono gettati in un rewatch nostalgico di quello che, per loro (noi) rimane il teen-drama definitivo, disponibile da qualche mese per intero su Prime Video. L’evento era stato anticipato, l’anno scorso, dall’uscita del podcast retrospettivo Welcome to the O.C, Bitches, condotto da Rachel Bilson e Melinda Clarke (Summer Roberts e Julie Cooper nella serie), che aveva riscosso molto successo. Essendo stato a 16 anni uno di quegli spericolati venture capitalist del capello mosso, nonché grande fan della serie, mi sono quindi unito alla nostalgia per vedere che effetto mi avrebbe fatto riguardarla.

Per tutti coloro che non sapessero di cosa stia parlando, The O.C è un misto tra Grandi Speranze di Dickens, Beverly Hills 90210 e un compendio dei desideri inespressi di tutti i maschi beta dei primi Duemila.

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Racconta la storia di Ryan Atwood, un 17enne problematico e violento cresciuto a Chino (una ‘cittadina malfamata’ della California meridionale) in una famiglia con madre alcolista e padre e fratello galeotti. Dopo aver tentato di rubare un’auto, Ryan viene assistito legalmente da Sandy Cohen—eccentrico difensore d’ufficio pieno di ideali sinistrorsi ma sposato con una ricchissima figlia di papà di Newport Beach—che decide di adottarlo e inserirlo nell’opulenta realtà della borghesia costiera di Orange County, tra sfilate di moda, fondi fiduciari, ville giganti, fuoriserie e scuole private che ricordano resort a 5 stelle. Il fratello acquisito di Ryan diventerà così Seth Cohen, rampollo viziato ma emarginato, che viene deriso dai coetanei biondi e abbronzati perché magrolino, ebreo e appassionato di videogame e fumetti.

Di base quindi è la storia di un underdog che si fa largo nell’alta società californiana, ma anche di due storie d’amore: quella di Ryan per Marissa Cooper (bionda, ricca, dolce, problematica, alla moda) e di Seth per Summer Roberts (mora, ricca, agguerrita, snob, alla moda). Questi due plot basilari si sviluppano in mezzo a frodi finanziarie, figli illegittimi, risse, overdose, surf, morti improvvise, paturnie adolescenziali, matrimoni per interesse e balli di fine anno.

Riguardando i primi episodi devo dire di aver provato lo stesso identico piacere che nutrivo a 16 anni, ma finalmente ne ho compreso il motivo. L’abbrivio di The O.C soddisfa una fascinazione per il mondo dei super ricchi che va oltre la normalizzazione di Beverly Hills 90210 (anche loro sono come noi) o il mero voyerismo stile Gossip Girl (loro non sono in niente e per niente come noi): mostra cosa ci si immagina che accada quando i ricchi ti adottano. Che bellezza! Di colpo i drammi familiari e le prospettive misere sul futuro si trasformano in una vista soleggiata sull’Oceano, con genitori benestanti e amorevoli che smaniano per comprarti vestiti alla moda, sovvenzionare la tua educazione privata e farti finalmente vivere una vita in cui la più grande preoccupazione è quella di salvare il Chrismukkah (la festa a metà strada tra Natale e Hannukka, inventata dai Cohen). I primi episodi della serie non sono quasi per niente invecchiati nel mettere in mostra questo grande sogno occidentale: non diventare ricchi, che costa fatica, ma essere figli dei ricchi.

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L’impianto restante della serie, invece, fa ovviamente sentire i suoi anni. È un prodotto antecedente rispetto alla rivoluzione delle piattaforme che ha trasformato la serialità nella nuova forma di grande narrativa: gli episodi sono moltissimi perché pensati per la messa in onda in tv (i twist delle scene pensati per mantenere alta l’attenzione del pubblico tra una pubblicità e l’altra danno un po’ fastidio) e gli snodi della trama risultano abbastanza pacchiani. Anche per essere un teen drama, The O.C visto oggi risulta troppo poco credibile sia nei dialoghi che nelle situazioni. La maggior parte delle liti e dei pretesti per i contrasti arrivano da motivazioni irreali, tipiche delle serie di un’altra epoca (la relazione tra Seth e Summer, ad esempio, entra i crisi perché lui vuole scrivere un fumetto, o perché lei ha preso un voto più alto al test SAT). Ci sono poi trovate di casting al limite del paradosso (lo sviluppo fisico subito in sole due stagioni da Kaitlin, la sorellina di Marissa, ricorda quello dei polli da allevamento intensivo).

Altri punti di forza di The O.C, invece, hanno perso efficacia semplicemente per il fatto che ormai sono stati del tutto sdoganati—ma è proprio stata The O.C a sdoganarli. Vent’anni dopo, ad esempio, possiamo dire che Seth Cohen è stato il primo personaggio di un prodotto di massa che ha redento l’immagine e la rappresentazione dei nerd di mezzo mondo: ha aperto la strada a decine di epigoni che facevano delle loro fisse (fumetti, videogame, giochi di ruolo), delle nevrosi e del sarcasmo il centro della loro attrattiva.

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Per non parlare poi della musica: riguardare di nuovo The O.C per un millennial è un po’ come masterizzare una compilation dei brani dell’adolescenza. Nella seconda stagione a Newport apre un locale di musica dal vivo, il Bait Shop, dove le vicende dei protagonisti si uniscono alle esibizioni di gruppi indie (all’epoca quasi sconosciuti): The Killers, Death Cab For Cutie, The Walkman, Modest Mouse, Rooney, The Subways e molti altri. Non è solo una colonna sonora, ma il timbro musicale di un’epoca.

Il distacco vero dalla magia della serie, però, lo si prova facendo mente locale sul contesto storico-sociale in cui è stata creata: come molti altri prodotti, quello di Schwartz è invecchiato male perché ignora completamente tematiche e forme di rappresentazione oggi necessarie. È un programma in cui tutti i protagonisti sono bianchi (se non spacciatori o donne di servizio), e in cui l’omosessualità di un personaggio è vista come un plot-twist drammatico (così come la malattia mentale e l’abuso di sostanze). Non esiste alcun tatto, in The O.C, quando si parla di povertà: i quartieri suburbani sono l’inferno, i lavori manuali una condanna da scampare e un trimestre alla scuola pubblica la dannazione. Le vite dei personaggi ci vengono restituite al massimo dei nostri sogni sul mondo nell’anno del Signore 2003: bella gente, in bei posti, che si gode la vita.

Gli stessi protagonisti, visti con gli occhi di oggi, mi hanno fatto un effetto totalmente diverso. Seth è un egocentrico incapace di qualsiasi empatia che pensa solo a soddisfare i suoi desideri da ragazzino viziato; Ryan un violento e possessivo maschio alfa; Sandy un ipocrita dedito all’autonarrazione molto più snob e affezionato ai propri privilegi di quanto apparisse all’epoca; Summer è il tipico personaggio femminile creato da un uomo nel 2003: bellissima ma non noiosa, devota in amore come una donna del Rinascimento, femmina alfa con una passione segreta per i maschi pieni di debolezze e nevrosi.

Il personaggio che trovavo indigesto 20 anni fa è quello che invece stavolta mi è piaciuto di più: Marissa. È l’unica capace di relazionarsi davvero e dare una mano a persone diverse da se stessa e da cui non pretende niente; le accadono le cose peggiori, ma non ne fa un dramma da appioppare agli altri; le uniche relazioni inter-classe o non etero che vediamo la vedono sempre protagonista (oltre a Ryan, non ha pregiudizi nell’innamorarsi di un giardiniere messicano, della barista bulletta del Bait Shop, di un normale surfista della scuola pubblica). Inoltre, è protagonista della migliore scena di tutta la serie.

Rivedere The O.C. insomma non mi ha solo riempito di nostalgia per la mia personale adolescenza, e per l’adolescenza al suo apice in generale. Mi ha fatto anche provare un senso di speranza al pensiero che, anche nel mondo delle rappresentazioni fittizie come i teen-drama, la nostra concezione del mondo si sia un po’ evoluta. Il senso di repulsione per Seth Cohen che ho provato, infine, mi ha fatto capire che, se il Signore vuole, sono finalmente un adulto.