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Dentro il Redentore, la vera festa di Venezia

E di tutti quelli che pur di farsi fotografare si butterebbero in canale.

Foto di Luca Bragagnolo.

Pensare che la festa più importante di Venezia sia il Carnevale, con le sue migliaia di americani obesi pressati nelle calli in una gigantesca riproduzione urbanistica della Manzotin, è un po’ come pensare che la cosa che le donne di Bologna sanno fare meglio siano davvero i tortellini.

A Venezia, più che in ogni altra città dItalia, esiste una verità per i local e una per i foresti, antica parola del vernacolo lagunare che sta per “portatori di portafogli che vanno svuotati. Al più presto.”

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La festa più amata dai veneziani in realtà è il Redentore; ovviamente anche così si lamentano della crescente presenza di forestieri, culminata quest’anno nell’invio di una squadra di VICE, “stimata rivista americana” come spiego ogni volta che qualcuno fra le persone che intervisto osserva dubbioso la bottiglia di Vodka che ho in mano.

Per l’occasione ho costituito il team giornalistico secondo un criterio rigorosissimo: deve funzionare sia per un reportage sia come situazione di partenza per una barzelletta da refettorio delle scuole medie. Per questo, quando nel tardo pomeriggio arrivo alla stazione Santa Lucia sono in compagnia di un terrone (il mio coinquilino siciliano) e di un francese (che, non si capisce bene per quale motivo, dorme da una settimana sul divano del nostro salotto), pronti ad incontrare un fotografo friulano naturalizzato veneziano.

Il fotografo all’occorrenza sa esibirsi in qualche parola di locale idioma. Se vuoi vivere qui, l’integrazione linguistica anche solo parziale è una necessità.

Piccolo schema sinottico dei costi e benefici dell’utilizzo della lingua locale a Venezia:

Buono questo caffè, quanto le devo?
Dipende, a tasso fisso o variabile?

Vecio quant’è che te devo darte par el cafè?
Dame 50 centesimi toni.
Bea.

La stazione è piena di turisti stranieri, molti dei quali però sono in partenza come questi due californiani.

Buon viaggio ragazzi, cercherò di non pensare a quante soddisfazioni avreste potuto regalarci.

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La festa del Redentore ha un’origine divertente quanto una puntata di Colorado Cafè: nel 1575 un’epidemia di peste ridusse la popolazione di Venezia di oltre 50mila abitanti, più o meno la metà dei residenti che la città ha perso negli ultimi sessant’anni—solo che allora finirono sotto terra, non in un condominio di Mestre. Il morbo durò due anni, finché il senato non decise di rivolgersi direttamente a Gesù Redentore perché risolvesse il problema in cambio della costruzione di una nuova basilica tutta per lui. Da queste parti infatti nessuno fa niente per niente, neppure Cristo.

Sconfitta così la pestilenza grazie alla mazzetta al messia (leggi: ex voto), i veneziani pagarono i debiti costruendo la nuova chiesa su progetto del Palladio sull’isola della Giudecca. Da allora, in occasione dell’anniversario, un ponte di barche collega la chiesa e l’isola a Venezia. Un’occasione insomma per ringraziare nostro Signore per quanto di buono fatto per la città, come si evince da questa foto.

La missione oggi è attraversare in lungo e in largo Venezia e documentare l’evento portando sotto braccio una bottiglia di vodka bufalina per il Pingue, amico veneto e prezioso insider che ci attende sulle rive della Giudecca a una festa di veneziani, nel cuore pulsante alcol e afa lagunare del Redentore.

Ma andiamo con ordine. La prima cosa da fare quando si arriva in una città è rispettare le tradizioni locali. Severo, ma giusto.

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Lei è Betty, e quelli sono i nostri spritz. Siamo in un bar di Campo Santa Margherita. Qui incontriamo anche Michele, che ha avuto un’idea per svoltare la serata.

Michele ha un piano ed è molto esigente e, anche se sono convinto che la cosa stupirà molti di voi, l’offerta del posto letto è valida solo per le donne. E nemmeno donne qualsiasi, Michele vuole solo sudamericane con almeno la terza di reggiseno. Buona fortuna.

Questa è l’ora in cui a Venezia tutti bevono birrette, spritz e addentano tramezzini e panini di ogni sorta, forma e colore.

Il francese è in estasi perpetua da sbarbato in gita e continua a dire che a Parigi “costerebbe tutto di più.” Messa giù così è impossibile non chiedergli di offrire un giro.

Lui è Dario e ci sta preparando il tipico spritz veneziano fatto con il Select finanziato con i fondi figli dell’improvvida grandeur dialettica d’oltralpe.

Dario mesce con la stessa naturale maestria con cui Michael Jordan tirava in sospensione dalla media, Giotto disegnava cerchi perfetti e Saviano inserisce la camorra anche nelle recensioni di libri che parlano di architettura del Trecento.

Per tanti qui il Redentore è un giorno di festa dentro un contesto di grande sofferenza del tessuto urbano. Dario s’infervora raccontandoci che Venezia sta morendo, anzi, “la stanno suicidando.” Per i locali come il suo il problema più sentito è quello dell’orario continuamente ridotto e del conflittuale rapporto con i vicini. Lui è riuscito a bloccare una petizione, ma molti altri suoi colleghi non sono stati così fortunati. Ci racconta che nel campo antistante due inquilini sono in causa fra loro per il rumore del condizionatore.

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Quando apri un’attività commerciale assicurati che nelle vicinanze abitino solo persone che non contano un cazzo. Tecnicamente si chiama: certezza italiana del diritto. Certo, in Veneto il problema del giro di vite ai locali assume una gravità ancora maggiore che nelle altre città d’Italia, se si considera che lo spritz lo bevono anche gli stencil.

Sempre in cerca di veneziani veri in festa andiamo alla sagra di San Giacomo Benefica, un nome che dopo aver espletato a stomaco vuoto il rito eucaristico dello spritz in tutte le sue forme e variabili dà inevitabilmente origine a giochi di parole da avanspettacolo che non vi dirò, ma che se fate parlare il piccolo Umberto Smaila che alberga in un angolo recondito del vostro cuore potete facilmente immaginare.

Il clima è di quelli che ti ricordano perché a molti veneti piace definirsi “i terroni del nord”, come dice la famosa canzone sinfonica.

Qui sono tutti hipster vegani.

Gli adulti tentano la fortuna.

E piccoli imprenditori veneziani crescono.

Quanto ti me dai par una foto?

Ormai è ora di muovere verso la Giudecca, prima però un altro step autenticamente veneziano sono le mozzarelle in carrozza con le acciughe vicino a Rialto.

Capisci che ti stai avvicinando al cuore della festa dalla compostezza dei volti che incontri per strada.

Un clima che regala serenità d’animo alle forze dell’ordine locali, coinvolte in questi giorni nel rumoroso arresto di un pittore ambulante iraniano filmato e finito online. Sarà perché hanno recentemente scoperto il potere dei media, ma i vigili si prestano volentieri a farsi fotografare.

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“Scusi potrebbe sorridere un po’ di più?”

Perfetto, grazie.

Poco dopo incrociamo questo barbone, altra categoria amatissima dalla municipalità veneziana; il vicesindaco dice che sono gente dell’est che non si spaventa certo di fronte ai carabinieri italiani, mentre l’assessore all’ambiente vorrebbe poterli accusare di associazione a delinquere.

Questo esponente della categoria però ci spiega in un lungo e quasi incomprensibile monologo in lingua tavernella che è di Verona, quindi non ci è chiaro se nelle intenzioni della giunta dovrebbe rischiare il 41 bis anche lui o godrebbe di una sorta di immunità.

Quel che certo è politici da queste parti hanno una sensibilità tutta loro per le frasi ad effetto, dai tempi degli immigrati-leprotti-da-impallinare di Gentilini all’esponente di Sel che per protestare contro il razzismo di una militante della Lega ha proposto di “chiuderla in un recinto con dieci negri assatanati.”

La retorica politica veneta è un misto di ferocia e umorismo gretto, o come mi piace definirlo "un monologo di Woody Allen editato da un esponente del Ku Klux Klan."

Per somma gioia del mio coinquilin,o perdiamo nella folla le tracce del francese. Ancora non sa che gli toccherà passare il resto della serata a rispondergli al telefono fornendogli indicazioni false. Raggiungiamo le Fondamenta, dove la gente mangia sulle barche e fa il bagno nelle cristalline acque del canale della Giudecca.

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Il grosso problema è che, con una sapiente scelta di gestione dell’ordine pubblico, il ponte di barche è bloccato dalla polizia, generando un assembramento che è giusto una pisciatina in faccia di distanza da Abu Ghraib.

Collezionando diverse raffiche di bestemmie riusciamo a fendere la folla a gomitate e savoir faire e raggiungere il blocco delle forze dell’ordine. Sventolo la tessera da giornalista che ho trovato nelle crostatine Mulino Bianco, ma non fanno passare neanche i residenti.

Il problema è che l’apice della festa del Redentore è dall’altra parte del canale. L’unica soluzione possibile a quanto pare è rappresentata da un vecchio veneziano delinquente che traghetta la gente con la stessa etica aziendale di Madoff nei suoi giorni migliori. Delle tizie ci scavalcano mettendogli in mano una quantità imprecisata di denaro ma comunque troppo.

Mentre aspettiamo il ritorno della barchetta dello scafista faccio presente al fotografo che il budget per le spese è ampiamente finito.

Quando torna discutiamo con lui per una decina di minuti buoni. Gli offriamo nell’ordine visibilità (vardè che ve butto in mare), vodka, sesso con il tizio francese appena lo ritroviamo e alla fine di un'estenuate trattativa patteggiamo 25 euro tirando dentro anche tre tizi che pagheranno altrettanto.

Il piano diabolico è farsi trasbordare dall’altra parte per poi fuggire nella folla della Giudecca senza pagare il vecchio.

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Solo che il traghettatore non è un ingenuo signore della guerra afghano ma un veneziano, per cui appena nasa l’inculata fa fermare la barca al suo amico Bepi (tutti si chiamano Bepi qua, specie quelli impegnati in attività illegali) in mezzo al canale e non riparte finché non si ritrova con il cash in mano. Siccome non portiamo rancore, se la guardia costiera lo stesse cercando questa è la sua barca

Mentre nelle orecchie mi risuona questa canzone capisco che si tratta comunque di soldi ben spesi quando appena sbarcati rincontriamo Michele, il ragazzo che ha riportato il settore immobiliare ai gloriosi fasti del pleistocene, quando l’affitto delle caverne si pagava in favori sessuali. Passata la mezzanotte le sue aspettative si sono abbassate parecchio; ora si accontenterebbe di una padovana con la terza, ma pure quella sembra drammaticamente fuori portata.

Nel frattempo sono iniziati i fuochi.

Circostanza che fa sì che aumentino ancora di più le persone che fotografano e si immortalano in tutte le posizioni possibili a beneficio degli amici dei social network.

Non ti stai divertendo davvero se qualcuno non sta rosicando per questo.

Se siete un sociopatico che cerca immagini di persone con cui compiere riti vudù o per fare finte tessere dell’UdC, non dovete fare altro che armarvi di una macchina fotografica che sembri professionale: tutti saranno più che entusiasti di regalarvi la loro anima con speranza di diffusione online. Il che in realtà è ok solo se ti affidi a dei professionisti come noi che sono attenti a rispettare scupolosamente le tue aspettative.

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Questo se vuoi posso farlo anche a te.

Imitare dei furetti inquadrati dai fari di un autoarticolato ci rende sexy.

Laddove una ragazza non vuole farsi fotografare in faccia, intervengono gli amici a risolvere la situazione.

È chiaro che siamo passati dall’esser-ci heideggeriano (Da-Sein) all’esserci per finire su Facebook (Da-Da-umpa). Gli unici che se ne fregano sono dei bambini, che con mia grande gioia quando vedono il fotografo gli chiedono se per favore può usare quel faretto che c’ha per illuminargli la palla che non si vede più niente.

Ecco qui.

Il mio coinquilino è sempre impegnato a depistare il francese.

“Acqua? No, non c’è acqua a Venezia, dove cazzo sei finito?”

Cerchiamo di raggiungere il Pingue, che ovviamente è dall’altra parte della Giudecca rispetto a dove ci ha sbarcato Bepi Caronte. Sulla strada incontriamo di tutto e di più. Come La nipote di Janis Joplin e la sua amica trendy che prova a impezzarci parlando in inglese con l’accento di Renzi alla John Hopkins.

Sorpassiamo anche gli anziani-che-sorvegliano-dai-balconi™.

Riusciamo finalmente a raggiungere l’ultimo party della Giudecca.

Trovo il Pingue e gli consegno il dono, facendolo sprizzare gioia da tutti i pori.

La promiscuità è alle stelle.

Il bar è fashion e inaccessibile all’incirca come a un party nel centro di Milano.

Il che potrebbe aver influito sul fatto che da lì in poi i ricordi hanno una dissolvenza che passa per di qui.

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Il famoso ponte di barche

E si rimette definitivamente a fuoco qui, dal Mago G a Rialto, tappa finale di ogni notte veneziana che si rispetti.

Un luogo dove anche alle cinque di mattina puoi trovare una faccia amica.

Mangiando il mio tramezzino contemplo l’inconsueta moria di pesci che affligge Venezia in questi giorni e rifletto su quanto poco costeranno le fritture miste domani nei ristoranti della laguna.

Dal nulla sbuca fuori un tizio di nome Alessandro che come se ce ne fregasse qualcosa ci racconta che fa il barista nel locale di suo zio ma in realtà si è laureato in architettura sette anni fa. Purtroppo in questo paese infame e nepotista non guadagnava quanto guadagna lavorando al bancone, visto che lo zio gli da 2.000 euro al mese.

“Quanti anni hai?”
“43.”

Capisco così che una delle rose nel fitto bouquet delle inculate dei tempi in cui viviamo non è solo quanto è difficile farsi una vita professionale ma anche che nel momento in cui “la crisi” è diventata rito, ambiente e mondo di riferimento accettato con rassegnazione come il maltempo e gli editoriali di Ostellino, siamo entrati nel pieno della notte dove tutte le vacche sono nere e qualsiasi deficiente o fancazzista può dirsi vittima del sistema.

In casi come questo, forse tutto quello che rimane da fare è bere.
In fondo siamo qua apposta.

Segui quit su Twitter: @quitthedoner

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