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Politică

Il piano del M5S per sconfiggere la corruzione sembra una televendita

Ieri sul profilo Facebook del M5S è stato pubblicato un video in cui Manlio Di Stefano tesse le lodi del ddl #Spazzacorrotti.
Niccolò Carradori
Florence, IT
Grab via Movimento 5 Stelle/Facebook

Nel pomeriggio di ieri sul profilo Facebook del Movimento Cinque Stelle è stato caricato un video in cui Manlio Di Stefano, sottosegretario al Ministero degli affari esterni, illustra la portata epocale del Ddl spazzacorrotti.

Il video introduttivo non è proprio venuto benissimo tecnicamente (sembra un misto fra una televendita con sfondo renderizzato e un video parodia), ma il tono è lo stesso—estremamente entusiasta—con cui Di Maio aveva presentato il disegno di legge il 4 settembre, prima dell'esame da parte del Consiglio dei ministri, tramite una lettera indirizzata direttamente ai corrotti. "È la prima seria misura contro la corruzione che viene discussa in Italia dal dopoguerra ad oggi. Praticamente non lascia alcuno scampo a chi corrompe e a chi viene corrotto. Per cui, in sostanza, corrompere non conviene più. A nessuno e in nessun caso."

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O il tono della conferenza stampa ufficiale avvenuta subito dopo l'approvazione da parte del Consiglio, a cui avevano preso parte Giuseppe Conte, lo stesso Di Maio, e il ministro della giustizia Alfonso Bonafede. Che ha cominciato a illustrare le innovazioni introdotte dal Ddl con queste parole: "permettetemi di dirvi che, dopo tanti anni di battaglia in nome della legalità, della giustizia, e dell'onestà, presentare un disegno di legge che porta una vera e propria rivoluzione nella lotta alla corruzione è un motivo di orgoglio."

Adesso l'approvazione del Ddl passa alla competenza delle camere. Salvini non ha presenziato al Consiglio, e successivamente ha dichiarato che condivide buona parte del disegno, ma anche di temere che "ci siano sessanta milioni di ostaggi in Italia in base a sospetti e presunzioni in assenza di prove." Ancora, quindi, non sono certe le sorti dell'iniziativa: ma conviene comunque cercare di capire se l'entusiasmo e l'aura di momento epocale sbandierato dal M5S sia ragionevole. In sostanza, che cosa prevede il ddl #Spazzacorrotti?

Le novità introdotte sono sette: l'inasprimento delle pene per i reati di corruzione (con un minimo di pena di tre anni di reclusione e un massimo di otto); il divieto—o cosiddetto "daspo"—per chi viene condannato ad avere affari futuri con la Pubblica Amministrazione (interdizione a vita per reati gravi, e per un minimo di cinque anni per quelli lievi); la possibilità di usufruire di "non punibilità" o di sconti di pena per chi denuncia i corrotti; l'introduzione dell'utilizzo di agenti sotto copertura negli uffici pubblici per smascherare la corruzione; la permanenza della confisca dei beni anche in caso di amnistia o prescrizione (se si arriva almeno al giudizio di primo grado); l'assorbimento del reato di "millantato credito" in quello di "traffico di influenze"; e il divieto di fare donazioni anonime ai partiti e ad altri organi politici e fondazioni.

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Sostanzialmente, però, i punti fondamentali—su cui si concentrano sia gli entusiasti che gli scettici—sono il daspo per i corrotti, e l'introduzione degli agenti sotto copertura. "Ricordate Johnny Depp in Donnie Brasco?" dice Di Stefano nel video pubblicato su Facebook. "È esattamente quello che succederà in Italia. […] I corrotti e i corruttori ci penseranno due volte prima di accettare o dare una mazzetta: se lo faranno in presenza dell'agente infiltrato, è finita."

Fin qui sembra tutto chiaro: agenti infiltrati negli uffici della Pubblica Amministrazione come normali funzionari e colleghi, pronti ad osservare tutto, e a riferire atti di corruzione verificatisi in loro presenza alle autorità competenti. Se la corruzione è accertata, poi, scatta sia il licenziamento per il funzionario corrotto, che l'interdizione a trattare con la Pubblica Amministrazione per chi corrompe. Un modo sia per mettere pressione ai corrotti direttamente negli uffici, sia per rendere eccessivamente rischiosa una mazzetta per chi i corruttori. Ma in realtà entrambe queste novità suscitano parecchi dubbi sulla loro effettiva efficacia.

Iniziamo dal ruolo dell'agente infiltrato. Inizialmente si era pensato di introdurre un vero e proprio "agente provocatore"—un finto corruttore con il compito di tentare i funzionari pubblici per smascherarli—ma fortunatamente questa idea è tramontata. Perché è deprecabile sotto il profilo etico, ma soprattutto per una questione di vuoto legale: se in realtà la mazzetta che ti sto offrendo non esiste, e io non sono un vero corruttore, non sta avvenendo un reato effettivo.

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La figura dell'agente infiltrato, invece, è già prevista dalla legislazione italiana nell’ambito delle indagini antimafia ( L.n. 146/2006, art. 9) e antidroga (D.P.R. n. 309/1990, art. 97), quindi si tratta soltanto di allargare l'utilizzo di questa figura anche nelle indagini per reati contro la Pubblica Amministrazione. Però, come ha fatto notare Carlo Nordio sul sito della Fondazione Einaudi, nelle operazioni antimafia e antidroga gli infiltrati riescono a essere operativi ed efficienti perché solitamente i reati in cui vengono coinvolti si svolgono tramite associazioni allargate. In cui è relativamente "facile" inserirsi, e documentare i crimini e i traffici.

La corruzione invece è un meccanismo che si svolge quasi sempre con incontri segreti e discreti fra due persone. Proprio per il rischio di venire scoperti, difficilmente questi reati avvengono "dentro l'ufficio": i corrotti e i corruttori si incontrano di nascosto. Soprattutto se si tratta di un grande appalto, che coinvolge reati più gravi. Questa nuova figura quindi, potrebbe effettivamente risultare utile soltanto nei piccoli casi di corruzione d'ufficio: perché nei grandi casi di corruzione non avrebbe modo di risultare credibile, e inserirsi in una dinamica in cui la diffidenza è massima, e c'è grande consuetudine fra chi corrompe e chi viene corrotto.

Anche per quanto riguarda il daspo ci sono problemi. Sia etici e di garanzia, che funzionali. Apparentemente la configurazione della legge, così come viene comunicata, è difficile da attaccare: chi viene beccato non avrà più modo di corrompere. Ma esiste una distinzione tecnico-legislativa che andrebbe precisata: ancora non si capisce se l'effetto del daspo ricadrebbe solo sulla persona fisica che compie la corruzione, o anche sull'azienda che rappresenta.

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Entrambe le soluzioni comportano problemi: nel primo caso, ipotizzando che un'azienda corruttrice voglia avvicinare un funzionario, gli basterà utilizzare delle "teste di legno" per effettuare gli atti corruttivi; e nel caso in cui vengano beccate addossargli tutta la colpa e passarla liscia non incorrendo nel daspo. Se invece il ddl prevede il daspo anche per le aziende, si profila una problematica di garanzia: nel caso in cui l'intento corruttore sia ideato e perpetrato soltanto da un rappresentante, ci rimetterebbe comunque tutta l'azienda. Come si può notare, quindi, le cose sono più complicate e confuse di come le presenta per adesso il Movimento.

In generale poi va osservata un'altra problematica. Per sua stessa natura, come dicevamo, la corruzione avviene "al buio" e in totale confidenza. L'inasprimento delle pene—sebbene sembri una soluzione logica—non fa altro che acuire il bisogno di nascondersi dei corrotti e dei corruttori. E come fa notare Nordio, questo complica la possibilità che chi è costretto a corrompere per partecipare agli appalti decida prima o poi di denunciare il sistema. Nonostante gli sconti di pena, infatti, il bilancio di convenienza è comunque sproporzionato.

L'ultimo punto da toccare è quello relativo alla catena gerarchica della polizia giudiziaria. Per decreto legislativo 177 del 19 agosto 2016, infatti, gli agenti di polizia sono tenuti a informare dettagliatamente i propri superiori gerarchici sull'andamento delle indagini. I vertici poi, devono trasmettere l'informativa di reato all’autorità giudiziaria. Da questo obbligo non sono esclusi i vertici di carabinieri, di polizia e della Guardia di Finanza. E non lo sarà nemmeno l'eventuale agente infiltrato. Tutti questi organi sono in diretta correlazione con la "politica". E questo aumenta la possibilità ipotetica di spostare il centro corruttivo anche nei meccanismi investigativi e giudiziari.

Molti esperti da anni per combattere la corruzione auspicano una riduzione drastica della macchina burocratica del paese, invece di insistere sull'inasprimento delle pene o su nuovi mezzi per accertare la corruzione. Snellire i passaggi burocratici, diminuirebbe anche il potere di veto di molti funzionari che fanno della corruzione la loro fonte di potere. A quanto pare, però, stiamo andando in una direzione totalmente diversa.

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