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La guida di VICE alle Elezioni

Cosa penso da nero italiano di Toni Iwobi, primo senatore nero, leghista

Mi risulta difficile giustificare la sua presenza all'interno di un partito che, da anni e anni, fa della xenofobia il proprio cavallo di battaglia.
Foto via Facebook.

Questo articolo è frutto della collaborazione di VICE con GRIOT, un magazine online e un collettivo di creativi, artisti e cultural producer che celebra la diversità attraverso le arti, la creatività e la cultura, e le storie a esse connesse di afrodiscendenti e altre culture in Italia e nel mondo.

La notizia dell'elezione di Toni Iwobi è giunta alle mie orecchie da un conoscente che, meravigliato per l’accaduto, voleva indagare il mio punto di vista di italo-congolese—per la cronaca: ho 34 anni, sono arrivato in Italia a sei, ho frequentato le scuole qui, ma fino a due anni fa per lo Stato italiano ero un immigrato, proprio come lo è stato Toni Iwobi, classe 1956.

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Originario della Nigeria, Iwobi vive in Italia da quarant'anni anni ed è iscritto alla Lega dal lontano 1993. Sedotto dalle idee federaliste di quei tempi, ci è rimasto fino ad oggi. E se diverse parti della politica italiana, dei media, degli italo-africani e africani oggi scoprono con stupore la sua esistenza, i residenti di Spirano (provincia di Bergamo), dove vive e lavora, e molti leghisti di altre sacche della profonda Padania, sanno chi è. E ovviamente non sono rimasti sorpresi quando hanno visto il suo nome in quelle liste che lo avrebbero portato in Senato.

Insomma, pare che gli anni di militanza e lavoro e gli slogan che ha fatto propri come "Stop invasione" e "Aiutiamoli a casa loro" abbiano portato i frutti sperati: il nuovo senatur ha raggiunto quel traguardo politico a cui molti ambiscono.

Non conosco personalmente Iwobi, e non ce l'ho con lui perché non è di sinistra o cos'altro. La sua resta però una scelta così discutibile che proprio non ne vengo a capo, e mi risulta difficile giustificare la sua presenza all'interno di un partito che—da anni e anni—fa della xenofobia il proprio cavallo di battaglia. Prima con il campanilismo, la guerra Nord-Sud; successivamente, oggi, spostando i riflettori sugli immigrati, perché non possono votare e perché sono i nemici più visibili da combattere, specialmente se sono scuri e musulmani.

La sua presenza nella Lega mi sembra rappresentare l’incoerenza fatta persona, specialmente nel minimizzare le esternazioni dei suoi compagni di partito quando parlano di sostituzione etnica o di "razza bianca" italiana: sembra non riesca o non voglia controbattere a tono. Anzi, Iwobi del neo-governatore Attilio Fontana—che in un'intervista aveva parlato di "razza bianca" a rischioha pure detto che “ha semplicemente preteso il rispetto della cultura del paese ospitante e l'importanza che le tradizioni di un popolo siano preservate […].” Ma cosa intende, esattamente, per "tradizioni di un popolo" quando si parla di “colore”?

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Questa mancanza di empatia diventa più evidente quando, dopo che persone come Luca Traini—e più recentemente Roberto Pirrone—sparano e feriscono migranti africani “regolari,” Iwobi per tutta risposta dice che il problema sono quelli che elencano solo determinati fatti per dipingere la Lega come un partito di razzisti, e che al contrario loro e Salvini condannano quegli episodi, ma non bisogna dimenticarsi che a Macerata è stata uccisa brutalmente una ragazza.

Ed è per proprio per questo che oggi ci si ritrova con esponenti leghiste come Lucia Borgonzoni, che si vantano apertamente dicendo che il loro partito non va bollato come razzista: c'è un nero tra loro, un nero che appoggia il loro pensiero e le loro politiche. Ma è qui che il re è nudo, è qui che bisogna capire il fine.

La strategia funziona e si abbocca con molta facilità perché ingannati dalla percezione del nero ex immigrato e oggi integrato, addirittura in un partito di destra. Si è anche ingannati dall'ignoranza. E non parlo solo del gioco che sta facendo la Lega in questi giorni. In generale, ma forse è una considerazione troppo utopistica legata a noi persone diversamente bianche, sarebbe bello vivere in un contesto in cui si è semplicemente individui, e non pedine di una partita in cui a farla da padrone sono il pietismo o quel black washing che mette in secondo piano le capacità, le qualità, le peculiarità di un individuo nero, posizionandolo sempre in quel ruolo subalterno, soggetto sempre alle scelte degli altri: dell’uomo bianco.

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In questi giorni, nelle bacheche di molti miei amici su Facebook è un fiorire di frasi che si riferiscono a Iwobi come allo zio Tom, a quel “ne*ro da cortile” tanto odiato da Malcolm X, o al maggiordomo nero fedele al padrone bianco in Django Unchained. Da una parte sono accostamenti che mi infastidiscono, dall'altra però mi fanno pensare che, una volta fatta "evaporare" l’altra identità—cioè il colore e/o il marchio di immigrato—e una volta allineatisi a quel pensiero dominante che ti ha accolto, certi soggetti vengono colpiti dalla "sindrome dell’italiano vero.”

Una "sindrome" che non li fa più identificare nella loro storia o in quella delle loro famiglie, o nelle storie di altri che come loro stanno compiendo lo stesso viaggio e processo di integrazione, seppure con modalità e risorse differenti, e in tempi diversi.

Usare Toni Iwobi per scrollarsi di dosso decenni di discorsi xenofobi e razzisti non dovrebbe sedurre nessuno. Come dice Cécile Kyenge, "non si smette di essere razzisti per il semplice fatto di eleggere una persona di origini africane." Tra l'altro, la Lega non è nuova a strumentalizzare situazioni simili: lo ha già fatto in passato, sbandierando la candidatura dei propri sindaci afrodiscendenti. È il caso di Sandy Cane, sindaca leghista italo-afroamericana, che qualche anno fa fu prima fatta diventare primo cittadino di Viggiù, e poi scaricata senza troppi complimenti.

Insomma, gli equilibri cerebrali umani non si fregano con semplificazioni e teatrini, anche se Iwobi interpreta ottimamente il suo ruolo. Persino Mario Balotelli, di solito molto riservato su questi temi, ha pubblicamente chiesto se qualcuno può ricordare al senatore di aver sbagliato schieramento.

Le cose a questo punto son due: o lo spirito padano che abita il leghista-nègher (così lo chiamano i militanti leghisti) è così forte da fargli ignorare il contesto esterno che lo circonda, compresi i sentimenti e la visione di molti italo-africani, africani e italiani; oppure il peso, l’importanza di un tale evento lo porteranno a ridefinire e riprendere in considerazione questioni finora sottovalutate e abbandonate.

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