Francesco Anselmi fotografa il vero volto della crisi greca
Tutte le foto di Francesco Anselmi/Contrasto.

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Contrasto

Francesco Anselmi fotografa il vero volto della crisi greca

Abbiamo parlato con lui di come la narrativa che ci è arrivata non rispecchia ciò che è avvenuto, del futuro della Grecia e di Unione Europea.

Contrasto è il punto di riferimento per il fotogiornalismo in Italia. Da 30 anni rappresenta alcuni dei migliori fotografi e fotoreporter italiani ed esteri, oltre a diverse agenzie internazionali come la Magnum. Quella che state leggendo è la seconda stagione della rubrica in collaborazione tra Contrasto e VICE Italia, in cui intervisteremo alcuni dei nostri fotogiornalisti italiani preferiti per farci raccontare le storie e le scelte dietro il loro lavoro. In questa puntata abbiamo parlato della crisi greca con Francesco Anselmi.

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Se ripenso alla crisi greca, mi vengono in mente principalmente tre momenti: la vittoria di Syriza nell'agosto del 2015, gli scontri in piazza Syntagma e il Referendum consultivo con il quale i cittadini greci scelsero di rigettare le proposte dell'Unione Europea. In questi momenti, l'attenzione mediatica di tutta Europa era rivolta a ciò che avveniva nel paese, eppure non bastano minimamente a raccontarla.

In mezzo, infatti, ci sono tutte le ripercussioni che questa ha avuto sui cittadini. Dopo sette anni dalla sua esplosione, la Grecia si ritrova ancora nel mezzo della crisi—con un PIL ridotto di un terzo, il tasso di disoccupazione più alto d'Europa, e il 20 percento più povero della sua popolazione con un potere d'acquisto quasi dimezzato.

Nel progetto Greek Chronicles, Francesco Anselmi racconta proprio questi aspetti: quelli meno eclatanti ma più deleteri della crisi, mostrando come si sono abbattuti sul paese e come lo hanno cambiato. Da quattro anni Anselmi vive a metà tra Atene e Milano e, dalla crisi dei migranti alla situazione dei tossicodipendenti, fotografa i lati meno raccontati della crisi greca, per cercare di fornirne una visione d'insieme. L'ho incontrato per parlare di come il racconto che ci è arrivato è diverso da ciò che è realmente avvenuto, del confine tra il fotografo e l'essere umano e del ruolo svolto dall'Unione Europea nella crisi greca.

Vista aerea di Atene.

VICE: Partiamo dall'inizio: quando nasce la tua passione per la fotografia?
Francesco Anselmi: Ho iniziato a fotografare nel periodo dell'università, che poi ho abbandonato per dedicarmi a tempo pieno al fotogiornalismo. Lasciati gli studi in scienze politiche, sono partito per l'India e mi sono lanciato in un progetto in Kashmir—un lavoro in cui volevo documentare la vita dei soldati indiani durante l'occupazione del territorio.

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Con quel progetto ho preso coraggio: mi sono iscritto all'Istituto Italiano di Fotografia, e dopo alcuni mesi sono stato accettato all'International Center of Photography e mi sono trasferito a New York; da lì è iniziato tutto.

Alcuni anarchici preparano bombe Molotov il giorno prima di una manifestazione in occasione del settimo anniversario della morte di un ragazzo di 16 anni, ucciso da un poliziotto il 6 dicembre del 2008.

Come sei arrivato a Greek Chronicles, e in cosa si differenzia dai tuoi lavori precedenti? 
Il progetto in Grecia è nato nel 2012, poco dopo essere entrato a far parte di Contrasto. Agli inizi avevo un'idea molto romantica di questo mestiere, legata al viaggio, al poter fare la differenza con la singola foto. Nel periodo newyorchese sono giunto alla conclusione che avesse più senso trovare un macro-tema a cui dedicarsi e aggiungere al proprio lavoro il valore del tempo, con l'idea di creare un corpo più riflessivo che di denuncia diretta.

Era l'inizio del 2012: piena crisi greca, su cui c'era molta attenzione mediatica. Decisi di recarmi là senza aver ben chiaro quello che avrei fatto. Passai un mese ad Atene e mi resi conto che la narrazione della crisi era molto parziale e superficiale.

Manifestazione di protesta del partito greco di estrema destra Alba Dorata davanti all'Ambasciata della Germania. Atene, 22 marzo 2013.

In che modo il racconto che è arrivato a noi non rispecchia la realtà? 
La crisi greca non viene raccontata. La narrazione gira tutta intorno ai numeri, o al massimo agli aspetti più eclatanti della crisi—come gli scontri di piazza. Manca completamente un racconto più profondo di come questa stia cambiando il paese, di come si stia abbattendo sulle vite delle persone.

Tu hai scelto di raccontare la crisi seguendo diversi filoni, ognuno dei quali forma una storia a sé ma unito agli altri prova a dare una visione d'insieme. Mi parli dell'inizio del progetto e di come poi si è evoluto?
Con il mio primo viaggio in Grecia ho messo a fuoco quello che mi interessava: raccontare gli aspetti della Grecia che stavano cambiando. Nel 2012 ho fatto il mio primo lavoro, che è stato quello con la polizia e con il suo nuovo corpo—quello che aveva il compito di identificare gli immigrati illegali, una cosa del tutto nuova in Europa.

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Un poliziotto dell'operazione "Xenios Zeus" perquisisce due uomini del Bangladesh nei bagni della questura di Omonias.

Dovevo passare una sola notte con loro, in un media tour di un paio d'ore che fornisce una visione fittizia. Invece ho conosciuto il capo della polizia di Atene, a cui ho parlato di un progetto molto più vasto. Gli interessava, così per due settimane sono uscito tutte le notti con la polizia di diversi gruppi, anti-crimine e anti-immigrazione, riuscendo ad avere accesso a un lato inedito e a catturare immagini anche molto importanti. Il progetto si è evoluto così, in modo naturale: più scavavo in una storia più se ne aprivano delle altre, dagli shelter agli anarchici, dai canteri portuali ai tossicodipendenti, faceva tutto parte di un quadro molto più ampio.

La scelta del bianco e nero dipende da questo? Dal voler fissare tutto come parte di un unico corpus?
[Il bianco e nero] è il mio modo di lavorare, quasi sempre. Il marchio di fabbrica di questo progetto è la sua durata: la mia fotografia non è immediata, non voglio dare risposte—a me interessa innescare una riflessione e creare una testimonianza storica.

Operai della miniera di carbone di Kardià. Unità regionale di Kozani, Macedonia Occidentale, Grecia, ottobre 2014.

Tra quelli che hai esplorato, qual è il tema che ritieni più importante nel racconto della crisi greca? 
Decisamente il tema dello sfruttamento territoriale, incredibilmente esplicativo della situazione e che va a influire criticamente anche sulle prospettive di sviluppo del paese. L'ho esplorato in due ambiti.

All'inizio ho scoperto che nel nord della Grecia, un paese che in controtendenza con quanto accade negli altri paesi europei ricava l'80 percento della sua energia dal carbone, c'era il secondo open-pit più grosso d'Europa, a Kozani. Grazie a una sponsorizzazione della Leica sono andato sul posto a raccontare la situazione e ho scoperto che, per via della crisi, la Grecia non può investire nel convertire la produzione di energia in metodi più sostenibili, e anzi sta investendo in un'altra centrale, fatta con investimenti europei, che sarà pronta nel 2020—quando nessun paese userà più il carbone.

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La chiesa del villaggio di Komanos, unità regionale di Kozani, Macedonia Occidentale, Grecia, ottobre 2014.

La seconda è la storia di una multinazionale canadese, l'El Dorado, che nel 2012 ha ottenuto dall'allora governo greco di Antonis Samaras il permesso di avviare un progetto di estrazione mineraria "low cost" nel cuore della Calcidica, una zona di mare fino ad allora destinata a turismo e agricoltura. Il risultato è catastrofico, non solo da un punto di vista ambientale, poiché il processo di estrazione implica l'utilizzo di arsenico, ma anche sociale; l'apertura di 700 posti da parte della compagnia ha indotto molti ad accettare il lavoro, creando una spaccatura insanabile all'interno della comunità locale.

Come rientra l'Unione Europea in questo discorso?
L'Unione Europea non può essere semplicemente interpretata dal punto di vista economico, ci sono atri aspetti quali quelli dei diritti umani e ambientali, e nel momento in cui stai facendo uno sforzo così grande per rimanere nell'Unione Europea, è pazzesco che non si intervenga per proteggerti da un certo tipo di investimenti, e anzi in un certo modo l'Unione stessa approfitti della situazione. Che cosa significa essere parte dell'Unione Europea? Essere messi in un angolo o essere messi nella posizione di poter riemergere?

Alcuni giovani manifestanti circondati da gas lacrimogeno dopo che hanno provato ad attaccare il cantiere di El Dorado.

Cambiando tema, tra le varie storie che hai seguito c'è anche la situazione dei tossicodipendenti, anch'essa molto esplicativa della crisi e del fatto che ci siano un prima e un dopo molto netti.
Assolutamente sì. Quel progetto risale al 2012-2013, che è stato un periodo particolarmente critico: è crollato il welfare, migliaia di persone si sono ritrovate per strada—da un lato le persone malate, in quanto erano state sospese tutte una serie di cure statali; dall'altro persone rimaste improvvisamente senza casa. Quello, infatti, era il periodo precedente all'introduzione di una legge che vietava alle banche di prendersi la prima casa nel momento in cui non riuscivi più a pagare le rate del mutuo.

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A fine 2012 ho passato del tempo con dei tossicodipendenti ad Atene—tutta gente che doveva essere in assistenza e che invece era per strada. Sono stato con loro una settimana in una piazza a cui avevo avuto accesso tramite gli spacciatori che vi stavano appostati in modo fisso. Un luogo fatiscente e completamente abbandonato, che si era trasformato in una vera piazza della droga. Un giorno sono arrivato e mi sono trovato davanti Amalia, una donna ansimante, spirata davanti ai miei occhi pochi minuti prima dell'arrivo dell'ambulanza, il cui intervento era stato richiesto da più di un'ora. La situazione in Grecia prima non era idilliaca, ma la crisi ha sicuramente un prima e un dopo: vedere una persona morire per le strade di una capitale europea è abbastanza allarmante.

Una donna rumena, conosciuta con il nome di Amalia dagli assistenti sociali che operano con i tossicodipendenti, con il fidanzato. Amalia è morta pochi minuti prima che la foto fosse scattata, presumibilmente per infezione sanguigna. Atene, Grecia.

Tornando di volta in volta, vedevi che la situazione cambiava tangibilmente?
Sì, credo di poter individuare tre fasi distinte. La prima è stata quella della rabbia: l'esplosione della crisi e le prime conseguenze sulla pelle della gente, e quindi le manifestazioni, la voglia di combattere. Poi c'è stata la fase della speranza. È iniziata con l'elezione di Tsipras e la vittoria di Syriza—un fenomeno incredibile, per cui tutti erano convinti del fatto che le cose sarebbero migliorate e che gli accordi con l'Unione Europea si sarebbero sbloccati. Adesso c'è la fase della delusione: il governo da un anno e mezzo è paralizzato, la disillusione che si percepisce è surreale, e personalmente credo quella attuale sia la fase in assoluto più critica.

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Si intravede una fine alla crisi? Come credi che ne uscirà la Grecia?
La situazione dal punto di vista economico non è mai stata così difficile. Si manifesta meno perché il governo cerca di mettere delle toppe, ma manca una soluzione a lungo termine, e sinceramente temo per quello che potrebbe succedere. Questa crisi finirà, tutte le crisi finiscono. La Grecia si risveglierà, ma non sarà mai più quella di prima: sarà una Grecia economicamente infiltrata da investimenti stranieri, dal corporativismo, e sarà una Grecia con un tessuto sociale molto diverso—in cui movimenti come Alba Dorata, apparentemente in calo, avranno uno spazio sempre maggiore nella società.

Nell'estate 2015 sono arrivati sull'isola migliaia di immigrati e profughi dalla vicina costa della Turchia. Isola di Kos, Grecia, 1 settembre 2015.

Molte delle immagini del tuo progetto sono piuttosto crude: c'è l'impulso, in quei momenti, di abbandonare la macchina fotografica e cercare un contatto umano?
Quando mi sono trovato con un gruppo di poliziotti che faceva eseguire il passo dell'oca a dei migranti appena arrestati, alla fine del 2012, un periodo in cui la Grecia stava avendo una deriva molto autoritaria, ero paralizzato, non credevo ai miei occhi. In questa situazione come in altre la cosa più importante che io posso fare, dato che succedono tutti i giorni, è documentarle, non è un episodio singolo su cui io posso fare la differenza, io posso solo dare visibilità a determinate situazioni. È stato diverso quando mi sono recato a Kos per affrontare il tema degli sbarchi, forse uno dei momenti più forti che abbia mai vissuto, lì la machina fotografica era solo un accessorio, la dimensione umana era talmente dominante da mettere tutto in secondo piano.

Turisti russi visitano il complesso delle Meteore, nel nord della Grecia. In conseguenza alla crisi, la Grecia si è aperta al turismo di massa e a importanti investimenti derivanti dalla Russia e dai paesi dell'Europa dell'est.

Per vedere altre foto di Francesco, vai sul suo portfolio sul sito di Contrasto.

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