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Perché così tanti brasiliani amano il calcio ma odiano la Coppa del Mondo

Quando Neymar ha segnato il primo gol del Brasile nella partita d’apertura del Mondiale a San Paolo, non tutti gli occhi del paese—o del mondo—erano puntati sul terreno di gioco.

Proteste a San Paolo. Foto di Rafael Vilela e Felipe Altenfelder (NINJA).

Quando Neymar ha segnato il primo gol del Brasile nella partita d’apertura del Mondiale a San Paolo, non tutti gli occhi del paese—o del mondo—erano puntati sul terreno di gioco.

Molti osservatori, infatti, stavano seguendo quello che accadeva fuori dallo stadio, dove la polizia soffocava le proteste a suon di proiettili di gomma, manganellate e lacrimogeni. Quella dei poliziotti in assetto antisommossa che si scontrano con manifestanti a volto coperto è ormai un’immagine familiare, quasi un simbolo di questo Mondiale tanto quanto la maglie verdeoro della nazionale brasiliana.

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“I brasiliani sono stufi. Tutti pensavano, ‘visto che amano così tanto il calcio, finché ci sarà un brasiliano che corre dietro a un pallone non ci saranno problemi’,” ha spiegato a VICE News Andrew Jennigs, giornalista inglese che ha scritto parecchio sulla corruzione della FIFA, anche in Brasile. “Ecco, si erano sbagliati. Conosciamo lo slogan delle manifestazioni: ‘Nessuna Coppa’. Sono dei brasiliani a dirlo. Brasiliani che dicono anche: ‘Amiamo il calcio ma non vogliamo il Mondiale'.”

Si è discusso parecchio su come sia stato possibile che uno dei paesi in cui il calcio è così amato sia arrivato a odiare così tanto la Coppa del Mondo. Eppure, frasi come “Fuck FIFA” e “La Coppa di chi?”, comparse sui muri delle città ospitanti, evidenziano sia il malcontento dei brasiliani per la crescente diseguaglianza interna che un rigetto più generalizzato nei confronti di grandi eventi di questo genere, diventati poco più che macchinari per fare miliardi di dollari.

Le competizioni sportive globali come i Mondiali e le Olimpiadi, che il Brasile ospiterà tra due anni, sono accolte dai cittadini dei paesi organizzatori con sempre più rabbia e dissenso. Il costo finale dell’evento—più di 10 miliardi di euro, nel caso del Brasile—è duro da mandare giù, specialmente in un paese in cui la povertà e la diseguaglianza sono dilaganti.

Non hanno aiutato granché né la controversa “pacificazione” delle favelas, né l’apparato di sicurezza militarizzato e men che meno la brutale repressione delle proteste vista negli ultimi mesi. “I brasiliani non sono contro il calcio, sono solo stanchi di essere derubati,” spiega Anderson França, un imprenditore attivo nel sociale che ha vissuto 11 anni in una favela di Rio de Janeiro. “È una questione di priorità… Non siamo un paese che può permettersi la FIFA.”

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Questa è una critica ricorrente di chi si oppone al Mondiale. Molti avrebbero preferito investimenti nell’istruzione, nella sanità e nelle infrastrutture, piuttosto che in progetti mangia-soldi come il famigerato stadio di Manaus—una struttura costruita in mezzo alla giungla amazzonica che è costata 300 milioni di dollari e ospiterà appena quattro partite.

Maria Pereira, un’insegnate di Rio, dichiara a VICE News: “Il calcio è considerato inclusivo; questa Coppa non lo è. Stiamo contestando il grande sforzo finanziario che si è fatto per questo evento in relazione agli investimenti per l’istruzione, la sanità e la mobilità. Il punto è che l’evento è così costoso perché è fatto per le fasce più abbienti della società. Sembra che il Mondiale non abbia aiutato così tanto il paese. È solo un modo di dare una bella immagine al Brasile.”

Ma non appena hanno cominciato a girare sui social media scene di infrastrutture sull'orlo del collasso e manifestanti picchiati dalla polizia, e poliziotti, autisti di mezzi pubblici e lavoratori dell’aeroporto hanno minacciato di scioperare nel bel mezzo del torneo, neppure quell’immagine pubblica è sembrata così promettente.

“Le cose sono davvero caotiche ora come ora, potrebbe esserci uno sciopero della metro che impedirebbe alle persone di andare agli stadi, la FIFA dice che non c’è un piano B e le strade sono militarizzate. È un bel casino,” dice a VICE News Christopher Gaffney, che ha studiato l’impatto dei Mondiali e delle Olimpiadi sugli spazi pubblici. “Il Brasile è un paese radicalmente iniquo, anche più del Sudafrica. È la società più ingiusta in cui si sia svolto un Mondiale. Il malcontento è ancora più radicato perché è anche più diseguale.”

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Questo malcontento ha raggiunto l’apice a giugno dell'anno scorso, quando quasi due milioni di brasiliani sono scesi in piazza in più di 100 città dopo la decisione del governo di aumentare i prezzi del trasporto pubblico.

Il coro “FIFA, paga a mihna tarifa” [FIFA, pagami il biglietto] ha scandito mesi e mesi di proteste. I brasiliani potranno pure amare il calcio, ma molti di loro non sono disposti ad accogliere la Coppa del Mondo senza lottare. Così si sono riversati in massa per le strade, galvanizzati da un analogo movimento di protesta per la difesa degli spazi pubblici che aveva infiammato la Turchia all’incirca nello stesso periodo.

“Molte manifestazioni erano proprio accanto al mio ufficio, e il rumore era così forte da non poter lavorare, quindi l’unica possibilità era unirsi alla protesta,” ha detto Pereira a VICE News. “In quella più imponente, tutti quelli che lavoravano in centro hanno chiuso gli uffici e sono scesi in piazza; è stato incredibile.”

Da allora il movimento si è in qualche modo frammentato. E mentre le proteste sono continuate, qualcuno in Brasile ha cominciato a stancarsi dei disordini. “Quello che succede ora è completamente diverso da quello che è successo un anno fa,” dice a VICE News Felipe Lacerda, il regista brasiliano di Bus 174, un documentario sugli abusi e l’incompetenza della polizia. “Parecchie persone hanno cominciato ad allontanarsi dalle proteste perché si sono spaventate della violenza che vedevano.”

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Lacerda condanna la brutale reazione della polizia nei confronti dei manifestanti, ma sottolinea anche come le proteste siano diventate meno numerose, più radicali e più provocatorie.

“La polizia è violenta? Sì. La polizia ogni tanto si è comportata bene? Sì? La polizia si è mostrata troppo tollerante in certi casi? Sì. Ci sono stati sfratti assurdi? Sì. Ci sono stati sfratti assolutamente giustificabili? Sì. Non è tutto in bianco e nero,” dice. “E il Brasile non è improvvisamente diventato uno stato fascista.”

Se da un lato i brasiliani sono d’accordo con le ragioni dei manifestanti, dall’altro stanno cominciando a stancarsi dei disagi quotidiani. “I manifestanti hanno una voce. Non ce l’hanno, invece, le persone che vogliono solamente andare a lavorare e non vogliono fermarsi perché qualcuno ha bloccato una strada a cinque corsie, oppure perché trenta persone hanno sbarrato una strada in segno di protesta,” continua Lacerda. “Queste persone erano in piazza nel giugno dell’anno scorso, quando c’era un milione di persone in strada. Ma non hai bisogno di farlo ogni giorno per dire che non ne puoi più di qualcosa.”

Con l’avvicinarsi dell’inizio del Mondiale, una serie di scioperi—e la minaccia di altri scioperi durante la Coppa—ha paralizzato diverse città. La polizia ha incrociato le braccia più volte negli ultimi mesi, portando a un aumento di rapine e omicidi e costringendo il governo a schierare l’esercito per ripristinare l’ordine. E gli scioperi degli autisti dei mezzi pubblici a San Paolo hanno fatto piombare nel caos una città di 11 milioni di abitanti.

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“Vogliono ottenere delle concessioni dal governo in un momento in cui li tengono per le palle,” dice Gaffney. “Tutti gli altri stanno facendo soldi col Mondiale, e i sindacati si chiedono, ‘Perché non dovremmo farli anche noi?’” Il problema, aggiunge Gaffney, risiede però nel “modello di business” della Coppa del Mondo. “Questo evento gigantesco è una specie di complesso industriale a sé stante,” sostiene. “Ed è questo che va analizzato. Perché lo stiamo facendo? Chi ci guadagna?”

“Ci sono comunità e quartieri che hanno espresso il loro dissenso contro il Mondiale sui muri e sulle strade, ma c’è anche una nuova classe media che vuole solo vedersi le partite in santa pace,” afferma França.

Le autorità sperano che alla fine prevalga la passione calcistica, e la presidente brasiliana Dilma Rousseff ha previsto che l’euforia da Mondiale relegherà le proteste sullo sfondo. “Più ci avviciniamo al mondiale, più il Brasile dimostrerà il suo amore per il calcio,” aveva detto poco tempo fa al New York Times.

Il primo giorno del Mondiale la nazionale brasiliana ha vinto, mentre fuori dagli stadi è infuriata la protesta. L’amore per il gioco si è mescolato alla rabbia.

“Le proteste continueranno,” pronostica Pereira. “E lo faranno anche i festeggiamenti.”

Segui Alice su Twitter: @alicesperi