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Identità

Ho conosciuto il mio ragazzo mentre stavo per diventare prete

Agli occhi di chi ci conosce adesso, io e il mio ragazzo siamo una semplice coppia gay. Ma la verità è che la nostra storia è iniziata ai tempi in cui entrambi frequentavamo il seminario.
Vincenzo Ligresti
Milan, IT

Come raccontato a Vincenzo Ligresti da Luca.

Quando qualcuno mi chiede come ci siamo conosciuti io e Giorgio, il mio ragazzo, sono sempre piuttosto in difficoltà. Agli occhi di chi ci conosce adesso, infatti, siamo una semplice coppia gay; ma la verità è che la nostra storia è iniziata ai tempi in cui entrambi frequentavamo il seminario—a essere precisi, al mio ottavo anno—e pensavamo di prendere i voti. Ma cerchiamo di fare ordine.

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Mentre gli altri bambini trascorrevano semplicemente la loro infanzia, a me piaceva giocare "al prete." Non so dire di preciso cosa fosse scattato in me, ma i ricordi più nitidi di quel periodo sono di quando i miei genitori mi portavano con loro alla messa: il silenzio anomalo, le immagini dei santi un po' tristi ovunque, il fatto che tutti facessero attenzione al parroco perché bisognava "assolutamente ascoltarlo con attenzione." Credo che, almeno inizialmente, tutto questo abbia destato il mio interesse. Mi sembrava che i sogni degli altri bambini non avessero niente a che vedere con me, e credo volessi distinguermi. Allora ero un chierichetto come tanti, ma finita la funzione tornavo a casa e continuavo ad esercitarmi: obbligavo mia nonna a fare la parte della fedele, e le somministravo biscotti al posto delle ostie. Inizialmente lo vivevo solo come un gioco, e la mia vita quotidiana, a parte questo, si svolgeva in modo simile a quella di tanti altri bambini. Solo che oltre a iscrivermi alla scuola calcio, io iniziai anche frequentare degli incontri mensili pre-seminariali.

Le cose continuarono così per anni, fino a che non arrivai alle scuole medie: frequentavo la chiesa, andavo a messa, passavo i pomeriggi in oratorio. Però avevo una maggiore consapevolezza del fatto che ormai il mio vecchio gioco preferito fosse diventato parte di me. II vestito che nel tempo mi ero cucito addosso mi calzava così bene al punto da prendere la grande decisione: entrare in seminario. I miei, pur essendo abbastanza religiosi, cercarono inizialmente di dissuadermi. "Sei troppo giovane," dicevano, "andare via da casa così presto, non ci sembra il caso." Nonostante i ripetuti tentavi estivi di farmi cambiare idea, però, a settembre i miei mi accompagnarono in macchina dal mio piccolo paese di provincia in una città più grande, sempre al Sud. In poco tempo si misero il cuore in pace. D'altronde, tornavo a casa due volte al mese e avevo anche dei contatti con l'esterno: il mio seminario, infatti, si avvaleva della scuola pubblica. Al mattino ci alzavamo presto, recitavamo le lodi mattutine e la messa. Poi si andava scuola, al Liceo classico, dove nel frattempo gli altri ragazzi avevano un'adolescenza diversa dalla mia.

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In seminario vivi giorno e notte a contatto con ragazzi all'incirca della tua età—dai 13 ai 19 anni. Di pomeriggio, prima dell'orario di studio, mi ricordo che si andava alla sala giochi interna, si giocava a calcetto o cose del genere. Nel frattempo ho avuto anche due fidanzate, se così si possono chiamare, a 14 e 16 anni. Gli educatori, nostre nuove figure di riferimento, ne erano a conoscenza, ma sapevano che eravamo dei ragazzini e non dei piccoli preti.

Di omosessualità non si parlava mai. Prima di quello che è successo a me, ricordo solo vagamente un episodio legato a un compagno più grande: un ragazzo che disse al parroco, quello con cui tutti si confidavano, di provare pulsioni sessuali per altri ragazzi. Non è un ricordo molto nitido perché erano i primi tempi, non so come sia andata a finire: so solo che dopo qualche tempo lasciò il seminario.

Ad ogni modo era una struttura piuttosto chiusa, con le sue regole. Al di là delle piccole punizioni quotidiane, come ad esempio pulire i bagni se i responsabili li trovavano in disordine, quello che maggiormente pesava era la mancanza di privacy—quella che serve a un adolescente per conoscersi sotto certi punti di vista. Poi, oltre al fatto che ogni stanza avesse quattro posti letto, non esisteva che qualcuno potesse fare qualcosa di testa propria: il calendario era quello e non poteva essere trasgredito; non si poteva nemmeno uscire fuori da soli. Tanto che tutte queste limitazioni mi portarono ad avere un momento di crisi prima a 17 e poi a 18 anni. C'erano gli ormoni, l'alcol, la libertà che si respirava fuori. Gli educatori mi aiutarono a uscirne, e decisi di restare e continuare il percorso seminariale: non mi sentivo pronto ad affrontare il mondo esterno, e poi ero davvero intenzionato a diventare un prete.

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Al seminario regionale, quello a cui sono passato finito il liceo, si respirava più un'aria da caserma. Eravamo in 200 ragazzi in un'unica struttura, e al suo interno c'era l'università pontificia con pochissimi esterni. Nei primi due anni dedicati al discernimento ho deciso di farmi seguire da una psicologa, perché alcune cose non mi tornavo. Per esempio, il mio orientamento sessuale. Perennemente circondato da uomini, mi ero infine reso conto di quanto ne fossi attratto. E ci pensavo tutto il giorno. Ero pieno di sensi di colpa, ma tormentato da una domanda in particolare: mi stavo perdendo alcune delle cose che tutti dovrebbero fare nella propria vita? Ed è a questo punto della storia che ho conosciuto Giorgio.

Lo avevo già notato nei corridoi, ma con quella discrezione distaccata di chi è già impegnato. Quando però gli ho chiesto degli appunti e abbiamo iniziato a parlarci, mi sono sentito felice come forse non ero mai stato. Studiavamo insieme in biblioteca, ci sedevamo accanto durante le lezioni comuni, sorridevamo imbarazzati quando le nostre mani si sfioravano "accidentalmente" mentre gli passavo la penna. Per la prima volta, dopo tutti quegli anni, avvertivo finalmente di essere il complice di qualcuno. Mi sentivo come tutti gli altri—quelli che nelle altre università iniziano una relazione con un compagno di corso. Dopo aver confermato via messaggi il nostro reciproco interesse, anche se non ce n'era granché bisogno, ci siamo dati appuntamento a notte inoltrata. Sapevo che stavo per andare a schiantarmi contro un muro di sensi di colpa, ma ci avrei pensato dopo. D'altronde, all'università le camere erano tutte singole e non mi ero mai sentito così bene.

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All'inizio, tenere la relazione segreta non ci è sembrato un grande problema. In molti avevano fatto caso all'"amicizia morbosa" tra me e Giorgio, ma nessuno si era mai effettivamente esposto. Certo, dappertutto si respirava una certa omofobia, ma soppesata da un alto tasso di omertà. A dirla tutta, anche altri studenti avevano rapporti sessuali fra di loro, costantemente. Tutti sapevano, ma nemmeno i diretti interessati ne parlavano in modo esplicito. Al massimo, dicevano di "aver ceduto alle tentazioni carnali" in un momento di debolezza, ma che si sarebbero reimmessi nella "retta via."

Dato che il celibato non è un dogma, ma una consuetudine instaurata ormai da secoli, e visto che non eravamo ancora dei preti a tutti gli effetti, non li biasimo. D'altra parte, non c'è nemmeno un passo presente nella Bibbia su questo argomento. È che io cercavo di guardare tutto in prospettiva: sarei riuscito a essere un buon prete o magari avrei avuto delle scappatelle come un marito fedifrago? Indossare il colletto bianco equivale a essere sposati. Non sto mettendo in discussione il celibato, è una scelta. Avere una famiglia vuol dire sottrarre tempo alla comunità, anche se osservando le altre confessioni cristiane––ortodosse, anglicane, protestanti­—non credo che certi pastori facciano meno rispetto ai preti cattolici. Il mio problema, visto con lungimiranza, era il futuro. La differenza, sostanziale direi, tra me e gli "altri peccatori" è che loro non avevano alcun dubbio: avrebbero finito gli esami, sarebbero diventati diaconi e infine preti, e continuato a vivere nell'omertà.

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Mancavano ormai due mesi all'estate che mi separava all'ammissione al quarto anno, prima tappa ufficiale per diventare prete. Dopo vari tira e molla con Giorgio e decine di notti insonni, decisi di confessare tutto agli educatori, perché comunque mi piaceva pregare, ma sapevo che le due cose insieme non potevano coesistere, almeno non in quel modo. Giorgio era d'accordo. Gli educatori rimasero spiazzati, dissero che non gli era mai capitato prima. A ripensarci oggi, avevo fatto un grave errore. Diventarono pedanti, pressanti, "Devi lasciarlo perdere," dicevano. Di comune accordo io e Giorgio decidemmo di abbandonare tutto, ma in realtà la scelta fu molto condivisa. Il Vescovo della Diocesi, tra l'altro, apostrofò un i finocchi non sono figli di Dio gratuito. Non ricordo di preciso la frase esatta, ma il senso era quello.

Alla fine ero distrutto, tanto che, giusto per rincarare la dose, lasciai Giorgio. Avevo bisogno di stare da solo, riflettere. Tornato a casa, i miei mi dissero "Ci spiace solo che tu non abbia finito l'università." Credo di aver passato quasi tutta l'estate osservando il soffitto. A un certo punto, però, ho deciso di cambiare totalmente aria. Mi sono trasferito al Nord, iscritto a Psicologia e trovato pure dei lavoretti qui e lì. Nel frattempo, ho rincontrato Giorgio. Avevamo parlato di trasferirci prima di rompere nella stessa città, ma non sapevo che l'avesse fatto sul serio. Ah, e ovviamente ci siamo rimessi insieme.

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Nella mia nuova città ho imparato che a molta gente non interessa proprio nulla del tuo orientamento sessuale o del tuo passato, almeno non in quella maniera provinciale a cui ero stato abituato. Durante il mio nuovo inizio ho recuperato il tempo perso: sono andato a ballare, a prendere il caffè quando volevo, a farmi i weekend fuori col mio ragazzo. Tra l'altro, ai miei coinquilini Giorgio sta più simpatico di me.

Fra i soggetti ritratti nell'immagine non è presente l'autore. Foto via Flickr / Teemu Mäntynen

Nel frattempo ho continuato ad avere un rapporto con Dio e a pregare, ma non mi sono mai azzardato minimamente a entrare in una Chiesa: tutti gli uomini che stavano lì dentro mi avevano deluso. Piuttosto, ho cercato di captare gli avvenimenti che provenissero dall'esterno e potessero darmi un segno. Per esempio, lo scorso maggio è arrivato il sì dell'Irlanda cattolica ai matrimoni gay. E se un paese con un'impronta così conservatrice è riuscito a fare questo grande passo, credo ci siano delle possibilità. Senza contare il recente coming out del teologo vaticano, il quale—dopo aver confessato di avere un compagno ed essere stato sospeso dal sacerdozio—ha voluto precisare che non ha "mai conosciuto una lobby gay in Vaticano ma solo preti omosessuali."

Le mie tendenze sessuali, almeno ufficialmente, non vengono più considerate un abominio. Sicuramente c'è ancora molto da fare: nelle conclusioni del Sinodo si spiega che si accettano gli omosessuali in quanto persone con una loro dignità, ma non le loro unioni. Ma è solo una questione di tempo.

Per quanto mi riguarda, dopo un anno e mezzo di pausa mi sono riavvicinato alla Chiesa. Ne sentivo l'assoluta necessità, d'altronde non si può stare per sempre lontani da casa. Io e il mio ragazzo siamo stati accolti senza problemi da una nuova comunità, e cerchiamo di renderci utili. Nonostante tutto mi porto un'esperienza positiva dei miei anni in seminario. La mia fede non è cambiata, e so per certo che prima o poi le cose cambieranno. So che magari ci vorranno anni, probabilmente decenni, ma le cose cambieranno.

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