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Una lettera d'amore alle coste inglesi

Pensate come località in cui i vittoriani potessero fuggire dall'inquinamento, dalla povertà e dallo squallore della città, i centri della costa inglese sono in breve diventati l'equivalente salato di Shangri-La.

Foto di Alex Sturrock

Pensate come località in cui i vittoriani potessero fuggire dall'inquinamento, dalla povertà e dallo squallore della città, i centri della costa inglese sono in breve diventati l'equivalente salato di Shangri-La: Brighton, Hove, Hastings e Bournemouth al sud; Great Yarmouth a est; Blackpool e Scarborough all'estremo nord. Questi luoghi, nati per la villeggiatura, hanno iniziato a ospitare in modo permanente moltissimi lavoratori sfollati dalle bombe naziste e alienati dal costo della vita in città. Alcuni l'hanno definita la fuga bianca, altri la ricerca di un sogno.

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Ed ecco che nell'infanzia del nuovo millennio esistono ancora, in bilico tra periodi di decadenza e altri di rigenerazione: cessazioni di attività alternate a rinascimenti gastronomici, iniziative artistico-culturali ed epidemie di eroina. Sono un mix pacchiano e fantastico di operai in fuga, case di vacanze alla Grand Designs, escursionisti ubriachi, artisti in cerca di ispirazione e persone che aspettano solo di morire. Sono luoghi dove la gente non vede l'ora di trovarsi, e allo stesso tempo da cui non vede l'ora di andarsene.

Margate, nelle zone più remote della costa di Kent, è forse la città in cui questa confusione è più evidente. Negli ultimi anni ha assistito allo sviluppo di una galleria d'arte milionaria—la Turner Contemporary—e a un'ondata di incendi dolosi appiccati alle cabine sulla spiaggia. Il panorama è più o meno questo: grandi condomini, fish and chips e violenza di quartiere. Per molti versi somiglia a ciò che era Londra prima che l'intera città si trasformasse nella zona di Angel.

A Margate ci sono stato la prima volta circa dieci anni fa, quando mia nonna si è trasferita nella vicina Herne Bay dopo aver venduto la casa di Camberwell. Era andata lì per trovare un po' di tranquillità, mentre molti ci vanno per incazzarsi. La mia prima impressione della città ha lasciato in me il ricordo di uno strano insieme di negozi di abbigliamento vintage, pub con schermi al plasma e camioncini del gelato. C'erano trampolini e maschere per l'ossigeno sulla sabbia, e rifiuti di vario genere in mare. Era una tipica spiaggia turistica del Kent.

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Ma al di là di questi tratti caratteristici da località balneare, a Margate c'è qualcosa di più problematico: le migliaia di persone nell'ombra che cercano di stabilirsi lì, per scelta o per necessità. La chiamano “la discarica” (anche la gente del posto ha iniziato a adottare questo nome), e la clientela dei bed & breakfast è sempre più spesso legata a un passato di servizi sociali. Questo vuol dire che buona parte degli ex senzatetto, ex tossici, ex alcolisti, stupratori e detenuti che cercano di reintegrarsi nella società vengono spediti a Margate.

Un'altra categoria di forestieri, spesso fonte di maggiori controversie rispetto ai "reintegrati", è formata da persone originarie dell'Europa dell'Est, principalmente polacchi o di etnia rom, che per una ragione o per l'altra si sono riversate in città. Anche questo, in un posto che vanta di essere inglese e briannico per antonomasia, è tema di dibattito tra molti: qui la campagna elettorale dell'UKIP è stata lunga e fruttuosa, ma quando Nigel Farage si è mostrato in pubblico è stato colpito in testa con un cartello.

In ogni caso Margate non è un luogo senza futuro, anzi: le tante culture hanno fondato una nuova e affascinante città su quello che rimaneva della vecchia magnificenza inglese delle coste sud-orientali. La nuova Margate non è fatta solo di sabbia e mare; è un luogo i cui abitanti provengono da tutti gli angoli della terra, da Cracovia, dal Kashmir o da Catford; un luogo dove si viene a vivere il sogno della costa inglese.

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