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Il cinema porno è il nuovo oratorio

Il cinema Mignon di Ferrara non è un cinema qualunque: posto in una chiesa sconsacrata e sopravvissuto all’avvento di Internet, è l’ultimo della città nonché uno dei pochissimi di tutto il Nordest.
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Foto di Filippo Massellani.

È un anonimo sabato sera e sto guardando il peggior film porno che mi sia mai capitato di vedere in vita mia. Il film in questione è di qualche anno fa, si intitola La cacciatrice di taglie e ha come protagonista Monella 69, performer romana che prima di lasciare la professione nel 2011 sembrava essere la promessa dell’hard italiano.

Il film, ispirato a Kill Bill (in qualche scena l’eroina ha anche la tuta gialla di Uma Thurman), è sontuosamente descritto da una recensione come un “polposo pulp […] dove tutti odiano, scopano, e spesso e volentieri ammazzano tutti.” Per una quarantina di minuti si alternano cocaina, tradimenti, station wagon targate Ungheria, boss di sesto ordine (il “nemico” principale si chiama Mister Skin) e golden shower accompagnate da esecuzioni sommarie.

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Devo ammettere però di non aver seguito bene la trama: dopotutto non lo sto vedendo a casa mia con le tapparelle abbassate—e non sono nemmeno da solo. Davanti a me, oltre alle striature bianche sul sedile su cui preferisco non indagare, ci sono tre uomini che stanno parlando di automobili. Dietro di me, invece, sento dei fruscii alquanto sinistri accompagnati dai passi lenti di altre persone che misurano e scrutano la sala immersa nell’oscurità. Verso la metà della proiezione è anche entrata una coppia mano nella mano, che ha trovato rifugio nella completa discrezione degli ultimi posti.

A questo punto non dovrebbe essere troppo difficile capire che mi trovo in un cinema porno. Ma non si tratta di un cinema qualunque: sono seduto dentro il Mignon di Ferrara, l’ultimo cinema porno rimasto aperto in città nonché uno dei pochissimi ancora in attività in tutto il Nordest. E l’aver resistito alla crisi non è nemmeno la sua peculiarità più spiccata: il Mignon, infatti, è un cinema porno all’interno di una chiesa sconsacrata.

Insomma, l’ambiente stesso è decisamente più interessante delle pellicole che proietta.

Negli ultimi anni le sale a luci rosse—quelle che sono in qualche modo sopravvissute all’avvento di Internet e della crisi economica—sono finite nelle cronache soprattutto a seguito di inchieste giudiziarie che hanno portato alla luce giri di prostituzione e spaccio.

Nel 2013, ad esempio, un’operazione di polizia ha fatto chiudere sei cinema sparsi in varie zone d’Italia (Milano, Mestre, Genova e Catania). Secondo l’accusa, che contesta reati che vanno dal favoreggiamento della prostituzione all’associazione per delinquere, i 20 indagati “utilizzavano le sale cinematografiche con il solo scopo di permettere che all'interno si svolgessero prestazioni sessuali a pagamento offerte da persone di sesso maschile (omosessuali, transessuali, ragazzi di giovane età anche minorenni) a uomini ivi presenti.”

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Il Mignon non è mai stato scalfito da questi problemi, principalmente grazie al fatto che è sempre riuscito a mantenere inalterate alcune caratteristiche abbastanza uniche. Il regista Massimo Alì Mohammad, che ha girato un documentario di oltre un’ora sul cinema, mi dice che il Mignon è anzitutto “una piccola e genuina realtà di provincia,” la cui attrattiva principale è quella di essere “un discreto e accogliente luogo di ritrovo”: “Molti frequentatori, per lo più pensionati, lo considerano un diversivo come il bar, anche non esclusivamente per parlare di sesso. Se venisse a cadere la sua natura di ritrovo, probabilmente il cinema chiuderebbe in poco.”

In effetti, l’ingresso sembra un incrocio tra un oratorio e un bar, se non fosse che al posto dei volantini che annunciano le attività ricreative della parrocchia campeggiano le locandine di Peccati di gola con Eva Henger o di titoli quali Vortice erotico.

In una bacheca c’è anche un (unico) dvd in vendita, che mi salta all’occhio non appena metto piede dentro il cinema.

Il retro recita: “Ecco le nuove troie della ex Russia che hanno deciso in ricordo dei vecchi tempi di rivoluzionare il significato di C.C.C.P.”

Dietro la cassa, sopra la quale è appeso un enorme poster della pornostar bulgara Edelweiss, c’è il cassiere Giuseppe Boccardo. È finito a lavorare nel cinema circa 15 anni fa, dopo aver risposto a un’inserzione sul giornale locale. Come quasi tutti i dipendenti del Mignon, Boccardo è un pensionato e non si lamenta per nulla di questo lavoro. “Comporta un bel po’ di ore, dalle 2 di pomeriggio alle 11 e mezza di sera, però si è a contatto con la gente,” mi racconta. Il cinema, tra l’altro, è aperto 365 giorni all’anno—anche a Natale.

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Gli chiedo che tipo di persona frequenti il Mignon. “Tutte, indistintamente, dal laureato al pensionato,” risponde Boccardo. Molti sono omosessuali; del resto, Ferrara è una città che non ha un singolo luogo di ritrovo per gay. “È calata molto l’anzianità,” continua Boccardo, “fino a sette/otto anni fa si facevano anche un centinaio di ingressi al giorno, e quasi tutti erano degli anziani. Adesso vengono meno persone, ma l’introito grossomodo è sempre quello.” Il prezzo del biglietto, infatti, costa meno per gli over-60 (6 euro) rispetto a tutti gli altri (10 euro).

Dopo aver staccato alcuni biglietti e salutato i clienti, Boccardo mi dà un suo parere sul perché un cinema del genere continui a resistere. Non si distacca molto da quella di Alì Mohammad: “Resiste perché qui si trovano gli amici e si fanno due chiacchere. C’è anche la libertà di poter dire e fare quello che si vuole, e quello che il limite legale permette. Poi a volte si va anche sopra le righe.” Tipo? “Be’, se uno va lassù in sala magari adesso trova uno nudo,” dice il cassiere ridendo. “Uno viene qui e mette a nudo i propri istinti, se non proprio tutto se stesso. Per questi motivi il cinema dura mentre tanti altri chiudono. Quello che ci raccomandiamo è che non ci siano giri di soldi.”

Dalla sala, nel frattempo, continuano a entrare e uscire i clienti. Cerco di scambiare due battute con qualcuno di loro, ma al massimo ricevo gesti d’allontanamento o garbati “arrivederci”. Decido dunque di passare nel retro della “chiesa” per parlare con Michele Poletti, il proiezionista di turno in quel giorno.

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Per arrivare alla sala proiezioni bisogna salire una serie di scale e fare lo slalom tra le pizze dei film degli anni Settanta e Ottanta, quelli che appartengono all’età dell’oro del porno a 35mm e con i quali i titolisti italiani dell’epoca hanno dato sfogo alla loro più fervida fantasia. Qualche esempio: Il vizio nel ventre; Ani sempre più roventi; Dora delirio carnale; Le succhiatrici erotiche; Febbre di lingue viziose; Esagerata Esageratamente Olinka; e così via.

La sala-proiezioni è sovrastata dal rumore del macchinario degli anni Cinquanta che, nonostante l’usura del tempo, svolge ancora la sua funzione. “Tiro prima le cuoia io che quella macchina lì,” scherza il proiezionista.

Michele Poletti, che oltre a essere il figlio di uno dei cassieri/gestori del Mignon è stato un operaio metalmeccanico, proietta i film dal 2010 e non lo considera un lavoro particolarmente “difficile o faticoso”. Ha anche una bambina “che non sa quello che fa il padre, ma capisce che c’è qualcosa di strano.

Poletti mi spiega che ogni giorno si alternano uno spettacolo in 35mm e uno in digitale, senza soluzione di continuità. Gli chiedo un giudizio sulla differenza tra le due epoche del porno. “C’era più poesia negli anni Settanta e Ottanta,” dice. “Adesso gli ultimi film sono più ‘tecnici’, nel senso che si pensa solo al sesso e a una ricerca del sesso sfrenato di tutti i tipi. Una volta c’erano anche dei film gradevoli, con della trama, un po’ di poesia appunto. Alcuni erano anche belli.”

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Naturalmente i clienti non vengono al Mignon per gustarsi la trama dei film di una volta—o almeno, non solo per quello. Secondo Poletti tra i frequentatori ci sono persone “a cui il porno magari non piace nemmeno. Però ci vanno gli amici, e allora è un modo di stare insieme. Si mettono lì, parlano di politica e di altre cose, guardano due scene porno e vanno a casa. Non è una cosa da malati di sesso o da persone con esigenze particolari: è proprio un ritrovo.”

Ciò nonostante, e anche se siamo nel 2014, i cinema porno sono ancora considerati luoghi di perdizione totale. Come mai? “Rimane sempre un posto dove ci sono eccessi: il porno non è qualcosa che si fa normalmente,” risponde Poletti. “Il giudizio comunque è anche influenzato da una sorta di senso di colpa cattolico/religioso. Nella mia vita ho visto cose peggiori rispetto a quello che succede in un cinema porno. C’è una grandissima ipocrisia in giro.”

La programmazione della settimana.

Mentre armeggia con le pellicole, il proiezionista mi offre anche la sua teoria sulla sopravvivenza del cinema. “Il Mignon è un posto che è un po’ rimasto sospeso nel tempo. Si trova in una zona di Ferrara dove sono stati girati un sacco di film storici [tra cui Ossessione di Visconti e Uomini Soli di Vancini]. Ecco, mi piace pensare che una zona così impregnata di cinema faccia vivere il Mignon come per magia.”

Ritorno all’ingresso e intorno è il deserto. Il cinema tornerà ad animarsi dopo cena, verso le nove. Il cassiere guarda pigramente la televisione e di tanto in tanto controlla la sala.

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Prima di uscire, Giuseppe mi dice che il Mignon potrà anche essere “antico come concezione,” ma che in realtà è “proiettato nel futuro.” Come mai? Perché dopotutto affonda le sue radici in un’esigenza “eterna”, quella della compagnia umana, che “difficilmente morirà.”

Scritte sulle porte dei bagni del Mignon.

Non so se Boccardo abbia ragione. Ma una cosa è piuttosto sicura: “l’immagine di porno-chiesa,” come mi dice il regista Massimo Alì Mohammad, “fa riflettere su un contraddizione basilare che anima Ferrara e in generale il nostro paese.”

Una volta uscito dal cinema ho ripensato alle statistiche diramate dai vari siti porno, secondo le quali gli italiani sono un popolo di solitari consumatori di porno tra le mura di casa.

Nel 2012 un’infografica di YouPorn evidenziava come Milano e Roma fossero le prime due città al mondo per accessi al sito. Dieci giorni fa, un rapporto del motore di ricerca PornMD confermava questo trend: gli italiani sono i primi in Europa per permanenza su YouPorn, in media quasi 11 minuti. Sempre secondo il rapporto, le parole di ricerca più digitate sono “italian”, “italiana”, “italia” e Sara Tommasi.

Dubito fortemente, però, che la maggior parte dei frequentatori del Mignon sia in grado di digitare “Sara Tommasi porno” sulla barra di ricerca del browser. E dopotutto, finché il cinema continuerà a resistere al mondo esterno, non ne hanno nemmeno bisogno.

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