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Ho contattato 1000 sconosciuti su Facebook per trovare l'anima gemella

Dopo l'esperimento di qualche settimana fa ho pensato a una cosa molto semplice: perché non invertire i ruoli e vedere cosa succede se è una donna a contattare 1000 uomini su Facebook per rimediare un appuntamento?

L’imbarazzo e la timidezza sono sentimenti comuni a molti. Certo, esistono anche quelli che si sentono sempre a loro agio con il cosmo, ma sono una minoranza di cui certamente io non faccio parte. Ecco perché nella mia personalissima scala Mercalli del disagio interagire con gli sconosciuti viene subito prima della scabbia.

Ma si sa che la vita è un lungo cammino di fustigazione, e che le proprie debolezze vanno sconfitte. Così due settimane fa, quando su VICE Niccolò ha deciso di seguire le orme del serbo Predrag Jovanovic e ha contattato 1000 sconosciute su Facebook per cercare l’anima gemella, l’idea di una “terapia d’urto” ha iniziato a farsi strada nella mia mente.

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Leggere della sua impresa mi ha fatto tornare in mente una serie di studi accademici ed esperimenti—come i video in cui prima un ragazzo e poi una ragazza andavano in giro a chiedere agli sconosciuti una cosa molto semplice: “vuoi venire a letto con me?”. Così ho pensato: perché non invertire i ruoli e provare a vedere cosa succede se è una donna a contattare 1000 uomini su Facebook per rimediare un appuntamento?

Proprio per quella mia difficoltà a interagire con gli sconosciuti di cui sopra rimorchiare non rientra nelle mie principali attività, ma nonostante ciò fin dall’inizio ho pensato che il solo fatto di essere una donna mi avrebbe reso le cose più semplici. O almeno, questo è ciò che pagine Facebook come “morti di figa che cercano di rimorchiare” sembrano suggerire con la stessa insistenza con cui mi torna in mente quella volta che ho attraversato un’intera discoteca con uno sconosciuto che mi abbracciava da dietro. Convinta che fosse un'amica me lo sono portato in spalla per tutto il locale, e non ero nemmeno sbronza.

Quindi mi sono preparata spiritualmente al pubblico dileggio, e ho passato tre giorni della mia vita ad aggiungere uomini provenienti da ogni anfratto sociale. La tecnica disperata dell'articolo di Niccolò era quella di inviare messaggi random—con tanto di richieste d'amicizia per evitare che questi finissero tutti nella sezione "altri"—fino a che una delle ragazze non avesse accettato o l'autore non avesse raggiunto l'umiliante cifra di 5000 tentativi andati a vuoto. Alla fine, eroicamente, è riuscito a rimediare un appuntamento al buio—forse troppo buio per poterlo accettare. Ho deciso che io avrei fatto una cosa simile, e che non mi sarei fermata finché non fossi riuscita a rimediare un appuntamento sufficientemente appetibile. Oppure non avessi rischiato di dovermi rivolgere ad un programma di protezione.

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Le prime ore dell’esperimento non sono state particolarmente esaltanti. In tanti hanno letto il mio messaggio e contro ogni attesa hanno deciso di non rispondermi. Con tutta probabilità, data la stranezza della mia richiesta e il fatto che fossi una completa sconosciuta, molti di loro sentivano puzza di spam e hanno preferito ignorare la cosa. Iniziavo a temere che la terapia d'urto potesse avere dei risvolti psicologici negativi, tanto da rintuzzare il mio fragile ego fino alla soglia critica al di là della quale ci sono solo vuoto solipsistico e corsi per imparare a scrivere haiku.

Poi però sono arrivate le prime risposte—sotto forma di “No", fredde e pungenti come solo le risposte monosillabiche sanno essere.

Se ancora adesso non so cosa sia più sconfortante tra un rifiuto o una silenziosa indifferenza, ho imparato che anche le risposte monosillabiche affermative sono poco dignitose: dire “no” non ti voglio conoscere, o dire “sì” e poi volatilizzarsi nel nulla cosmico sono più o meno la stessa cosa.

Nonostante questi primi sconfortanti risultati, ho deciso di non darmi per vinta. Ho pensato intensamente a Maria di Trapani, e ho ritrovato la la fiducia. Maria di Trapani è un'ottima alternativa ai corsi di Livio Sgarbi.

E c’è voluta tutta la fiducia del mondo, perché poco dopo ho scoperto che peggio dell’indifferenza e delle risposte monosillabiche (positive o negative) c’è la sensazione di sentirsi usati. E peggio ancora della sensazione di sentirsi usati c’è solo la sensazione di sentirsi usati a scopo autopromozionale.

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Quando questo ragazzo ha risposto alla mia dichiarazione di interesse con la richiesta di mettere like alla sua pagina e ad “alzare il volume” (sospetto fosse un aspirante DJ) ho iniziato a capire che anche se appartengo al genere femminile la maledizione di Predrag Jovanovic non mi è preclusa.

C’è stato anche chi si è dichiarato sinceramente interessato e desideroso di conoscermi, a tal punto che gli è sembrato opportuno iniziare a passare sotto i raggi infrarossi la mia timeline e mettere forsennatamente like a ogni singola cosa avessi pubblicato nella mia vita su Facebook. Non è stato per niente insistente, ansi.

Ma c’è stato anche chi si è innamorato di me nell’istante in cui ha visualizzato il messaggio. Sono sicura che la scintilla è scoccata perché si è sentito accettato per quello che è. Peccato che poi non mi abbia proposto di uscire.

A quota 300 messaggi stavo iniziando a riscuotere qualche successo, un po’ di pathos qua e là e una buona dose di like sulla mia bacheca, ma di un appuntamento neanche l’ombra. In alcuni casi è stato per cause di forza maggiore, come questo ragazzo.

Quel “mi piacerebbe” unito al fatto che si fosse dichiarato solo “un po’” gay mi ha permesso di continuare a sognare.

Nel frattempo, la convinzione che ci fosse qualcosa che non andava nel mio messaggio iniziava a farsi sempre più forte. “Ti va di conoscermi” non era abbastanza. Se volevo ottenere qualcosa dovevo essere più diretta, così ho deciso di optare per un “se ti va possiamo conoscerci o vederci.” Certo, in questo caso la distanza geografica ha rappresentato un problema, ma ho riscosso decisamente più successo.

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Quando un Operatore Televisivo (lo chiamo così per rispettare il suo desiderio, perché ha voluto specificare prima la sua occupazione del suo nome) mi ha inviato un dettagliato curriculum vitae ho pensato che il surplus di slancio del mio nuovo messaggio potesse essere frainteso e che qualcuno potesse scambiarmi per la responsabile di un’agenzia di collocamento.

La verità però è che cambiare messaggio è stata la svolta, perché mi ha permesso di interagire con uno degli esemplari umani migliori che abbia mai conosciuto: un entusiasta uomo di mezza età che ha passato le ultime 48 ore a non fare nient’altro che andare in giro per la città a farsi selfie da mandarmi.

Quando per caso ero intenta a vivere la mia vera vita e non avevo tempo di visualizzare i messaggi, decideva di non darsi per vinto e mi postava le foto direttamente sulla bacheca, con tanto di faccina intenta a comunicare il suo stato d’animo (“emozionato”). Mi dispiace per voi che non abbiate avuto la possibilità di essere me quando poco prima di andare a dormire mi sono vista arrivare una foto del suo pacco.

Nel momento in cui scrivo probabilmente sta facendo un'escursione sul Brenta per variare un po' i selfie da mandarmi.

È stato chiaro fin da subito che la nostra sarebbe stata una relazione a una sola corsia; per lui non è mai stato importante che io rispondessi: è bastato il mio primo messaggio per innescare una bomba compulsiva. Dopo ore di messaggi e fotografie, senza sapere bene il perché, ho scritto: “Tu sei il mio idolo.” A quel punto ha deciso che la principale missione della sua vita sarebbe stata incontrarmi. Mi ha proposto diverse alternative: una colazione (accompagnata dalla foto di una tazzina di caffè), un giro in centro di pomeriggio (accompagnato da una sua foto in piedi di fianco a un palo) o una serata insieme (foto di una donna e un uomo casuali che si spogliano).

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Tutte queste alternative mi hanno messo in crisi e siccome scegliere è la seconda cosa che mi viene peggio nella vita (dopo rimorchiare) ho pensato che tornare a tacere avrebbe giovato al mio sistema nervoso.

Ma è stato proprio allora che è apparsa una luce all’orizzonte: una risposta normale (sì, lo so che “normale” è un termine di cui spesso si abusa, ma vi assicuro che in questo caso è totalmente calzante). Un ragazzo mi ha ringraziato per i complimenti che gli avevo fatto, si è scusato perché in quel momento era impegnato e ha promesso che mi avrebbe riscritto più tardi per darmi modo di farmi conoscere. Quando mi ha riscritto ho provato un momentaneo senso di colpa: avrei voluto abbracciarlo—segno assolutamente positivo del fatto che la mia catarsi anti timidezza stava iniziando funzionare, e che il mio esperimento poteva considerarsi concluso.

Fondamentalmente non è niente di che, ma il semplice fatto di non avermi obbligato ad organizzargli un dj set in un bar di Rozzano, o non avermi inviato una foto in cui mi mostra il durello in Corso Buenos Aires lo ha qualificato come esemplare degno di nota.

Per il resto, la vita è un cammino lastricato di aspettative che vengono puntualmente disattese. La maggior parte delle persone a cui ho parlato della cosa—e forse anche dei lettori—dava per scontato che in quanto ragazza non avrei avuto difficoltà a rimediare appuntamenti, vista tutta l’importanza che si assegna all’idea di morto di figa. Be', se c’è qualcosa che mi ha insegnato quest’esperienza, è che gli uomini (vi chiedo scusa se sto generalizzando, ma non posso fare altrimenti) non sono dei morti figa, anzi. Tanti sono semplicemente morti. O sul Brenta.