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Ogni maledetta Leopolda

La Leopolda è il Monegros dei renziani. Ogni anno frotte di fedeli oltranzisti sciamano da tutta Italia per stare insieme. Siamo andati all'ultima edizione per capire qual è l'atmosfera fra i partecipanti adesso che sono al governo.
Niccolò Carradori
Florence, IT

Foto di Stefano Bizzarri.

Sono le cinque e mezzo di mattina, e la mia sveglia sta suonando. L'ho caricata così presto perché alle 7 parto per Firenze, per andare alla Leopolda 5. Peccato che dopo averla spenta mi rimetto a dormire, e in Stazione a Milano ci arrivo sudato e trafelato un attimo prima che il treno lasci il binario.

Arrivato al mio posto trovo una signora opulenta e mansueta che legge una rivista patinata mentre addenta una barretta. Io sono unto come un rettile, ho i capelli che seguono vettori radiali puntando tutte le direzioni, e la mia presenza ha alzato la temperatura dello scompartimento di tre gradi. Lei mi guarda tranquilla e sorride.

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"Tutto bene?" mi chiede. "Sì, è che devo essere a Firenze per le nove in tutti i modi e sono partito da Porta Genova a un quarto alle sette. Ero disperato, non pensavo di farcela."
"Ah… sta andando alla Leopolda?" Annuisco.
"Che bello! Anche io ci sto andando… ci vado ogni anno!" Mi fissa per qualche secondo e si sporge eroicamente verso di me. "Ha fatto bene a crederci. Bisogna crederci sempre!" Poi mi strizza l'occhio, e torna a leggere la sua rivista.

Avrei potuto anche scendere dal vagone in quel momento e tornarmene a casa a dormire, perché l'essenza dei due giorni che ho trascorso a Firenze, e di tutte le cose che ho visto e ascoltato alla Leopolda 5, l'avevo già assorbita da questa signora.

La Leopolda è il Monegros dei renziani. Ogni anno frotte di fedeli oltranzisti sciamano da tutta Italia per rispondere all’Adeste fideles dell'attuale Presidente del Consiglio, spesso come volontari non pagati, e passano tre giorni in una vecchia stazione in disuso riabilitata ad ospitare convegni e mostre.

Questa edizione della Leopolda si presenta in modo diverso rispetto alle altre. Il successo di Renzi ha fatto sì che la kermesse che rappresenta un po' il suo Cocoon annuale attraesse anche chi, negli anni precedenti, l'aveva vista con sospetto—quando non addirittura con astio. Con la sua mancanza di bandiere e la sua manifesta lontananza dalle vecchie ideologie, rappresenta ormai uno dei motivi per cui in molti si stanno avvicinando al PD. È la sorgente da cui attingere quelle aspirazioni maggioritarie a lungo agognate, e che poi rappresentano il plusvalore reale che il cyberscout fiorentino ha portato al partito.

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Ovviamente l'acredine delle correnti  che alla Leopolda vengono definite stantie e terminali non è mancata: Fassina nei giorni precedenti ha acceso una polemica sui costi della Leopolda e sull'opportunità di certi finanziamenti. La Bindi, invece, dal contraltare della manifestazione dei lavoratori e della CGIL a Roma ha definito la Leopolda "imbarazzante".

In realtà non sono qui per i dissesti interni al PD o per vedere di persona Renzi che si bea della sua carriera solista e si fa fotografare nudo con Yoko Ono. Quello che veramente mi interessa è capire qual è l'atmosfera fra i partecipanti adesso che sono al governo, e hanno visto finalmente fruttare anni di slogan e maieutica da convegno di Herbalife. Voglio capire quanto la Leopolda sia diventata una sorta di rito pagano autocelebrativo.

Il programma della giornata centrale prevede la partecipazione a tavoli di discussione su vari argomenti, 52 la mattina e 52 il pomeriggio. Le discussioni saranno guidate da ministri ed esperti, e i cittadini avranno l'occasione di interloquire direttamente con loro. Una aperta dimostrazione di porosità che può essere vista ovviamente in due modi: la volontà reale di trasparenza e dialogo, o l'esercizio di packaging di un esecutivo che ha sempre dimostrato sensibilità per la scaltrezza comunicativa.

Arrivato davanti ai cancelli dell'ex stazione noto che la gente ha già cominciato a sciamare all'interno, con aria serena e felice. Io raggiungo il fotografo che segue con me l'evento, e insieme ci spostiamo verso l'entrata riservata alla stampa.

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Entriamo nel salone principale, dove si terranno i tavoli di discussione e dove è stato allestito il palco. Tutti si aggirano vorticosamente fissando il foglio in cui sono elencati i vari argomenti di discussione, buttandosi a pesce sulle poche sedie libere. Quando non riescono ad accaparrarsi un posto al tavolo che stavano puntando, si affrettano a cercare la prima sedia vuota, incuranti dell'argomento a cui parteciperanno. Sono tutti ansiosi di dimostrare la loro determinazione e voglia di fare. Si presentano fra di loro, si stringono calorosamente la mano, tirano fuori agende o taccuini per prendere appunti.

Tento di parlare con qualcuno, ma la maggior parte di quelli seduti in questo momento non vuole essere disturbata, e quando riesco a trovare qualcuno disposto a sbottonarsi un po' i volontari mi intimano di aspettare la fine dei lavori per le interviste.

Alcuni cominciano a scattarsi i primi selfie al tavolo, e a twittare le loro impressioni. Dal palco non la finiscono di ricordare l'hashtag #Leopolda5, e di invogliare la gente a twittare come se non ci fosse un domani.

Sul palco ci sono due tavoli da lavoro, canestri con palloni, e cianfrusaglie varie: tutto per ricreare l'immaginario di un gigantesco garage. Sembra un po' lo studio televisivo di un programma pomeridiano per bambini.

Il messaggio di fondo, abbastanza ovvio, è che siamo qui per assistere alla rinascita ipotetica del paese: una macchina arrugginita e malridotta che riparte dalla manovalanza di chi è disposto a spendersi direttamente per migliorarlo. Sui maxi schermi intanto passano immagini di officine, uffici, biciclette e mezzi di locomozione da riparare.

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Visto che non mi permettono di parlare con le persone sedute, faccio due chiacchiere con uno dei volontari: un ragazzo che si affaccenda febbrilmente intorno ai tavoli sul fondo della sala.

Stefano è un ventunenne di Varese, e partecipa alla Leopolda da due anni. "A me è sempre piaciuto andare dove potevo dare una mano. Grazie a Matteo Renzi ho scoperto la passione per la politica, e l'interesse per un mondo che mi era sempre sembrato chiuso e non comunicativo. Adesso sono consigliere comunale del mio comune, Cardano al Campo. Grazie a Matteo probabilmente questo non sarebbe successo: non avrei avuto abbastanza interesse e determinazione."

Gli chiedo con quale spirito è venuto quest'anno. "Questa Leopolda nasce in modo diverso rispetto alle altre. Adesso siamo noi i protagonisti, e dobbiamo dimostrare che non abbiamo nessuna intenzione di fermarci. Sappiamo di avere molti detrattori, ma non ci interessa granché," dice indicando i cartelloni anti gufo. Quindi testa bassa e lavorare." Dopo quest'ultima frase, come riemerso da un'improvvisa illuminazione mi saluta e si rimette a girovagare per i tavoli cercando di assicurarsi che tutto proceda per il meglio.

Visto che l'incomunicabilità di quelli impegnati a salvare il paese è totale, decidiamo di dare un'occhiata alla sala d'ingresso. Al centro di questo lungo rettangolo scrostato e drappeggiato di nero ci sono degli ampi tavoli rotondi, e quelli che non sono riusciti ad accaparrarsi un posto nell'altra sala se ne stanno seduti a fissare il maxi schermo. L'audio nella sala dei lavori è stato abbassato al minimo, per non disturbare le discussioni, ma qui si sente distintamente Renzi che commenta, invoglia, spinge.

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Non avrebbe dovuto partecipare ufficialmente oggi, ma non ha resistito alla tentazione di dirigere la sua festa.

Sul fondo della sala c'è la zona ristoro: il bancone di un bar, un carretto dei gelati e uno per lo zucchero filato. Più in là c'è la zona preparata per intrattenere i figli dei partecipanti: un recinto in legno con qualche animatore, e una costruzione gonfiabile a forma di gatto.

Proprio mentre ci stiamo avvicinando al bancone del bar si apre una ferita nel tendone nero che separa il backstage del palco dalla sala, ed esce Matteo Renzi senza scorta. È il momento in cui parte il Royal Rumble dei selfie: Renzi viene avvolto da una nube di teste e cellulari, e mentre compie un ellisse in mezzo alla sala si scatta foto con tutti.

Selfie classici.

Foto di selfie.

Selfie per procura.

Renzi rimane sorridente per tutto il tragitto, limitandosi a qualche frase di circostanza. È sbrigativo, ma non fa niente per sottrarsi. Tutti lo chiamano Matteo, gli danno del tu e fanno brevi scatti repentini per raggiungerlo non appena si libera. In fast forward ricorderebbe una scena di Benny Hill.

È interessante guardare il livello di confidenza che queste persone si prendono con il Presidente del Consiglio: lo strattonano amichevolmente, gli cingono le spalle con le braccia e tentano di rifilargli qualche battuta sugli amici piagnoni che in questo momento sono in piazza a Roma. “Alla fine capiranno anche loro. Ci metteranno un po' di tempo ma capiranno,” gli dice un ragazzo corpulento mentre con la mano fa un gesto inesorabile. Renzi con grande coordinazione riesce a strizzargli l'occhio e a rimettersi in posa per un altro autoscatto.

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Alla fine rientra nella zona riservata alle autorità, lasciandosi alle spalle un folto gruppo di delusi con il cellulare in mano.

Fra questi c'è anche un signore che sulla maglietta ha scritto 'Esodati Non Salvaguardati” Mi pare di capire che è qui per manifestare una lamentela, ma era uno dei più attivi nella mischia-selfie. Lo raggiungo ad uno dei tavoli. Si chiama Claudio Ardizio, fa parte del Comitato Nazionale Esodati, ed è qui alla Leopolda perché ha richiesto un incontro con il Presidente del Consiglio e i suoi collaboratori, per istituire un gruppo di lavoro aggiuntivo che si occupi del problema degli esodati.

“Abbiamo mandato una mail mercoledì, ma non abbiamo ancora ricevuto risposta. Non siamo qui per fare polemica, visto che siamo elettori del PD. Vogliamo semplicemente poter parlare con qualcuno, visto che la Leopolda è un luogo di dialogo.”

La loro richiesta in effetti verrà accolta, e nel pomeriggio avranno l'opportunità di partecipare a un tavolo con la Serracchiani e discutere della questione. Una storia finita bene insomma.

Ma non tutte le cause vengono perorate. Mentre usciamo per fumare una sigaretta, incontriamo un signore isolato che se ne sta sul marciapiede di fronte all'entrata stampa con un cartello scritto a mano. Mi chiede se sono un giornalista.

Non appena annuisco si apre la giacca a vento e mi mostra anche lui una maglietta con una scritta stampata: “Sono un morto che cammina perché ho disturbato la massoneria.”

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“Mi chiamo Adriano Fontani, e sono un perseguitato!”

Segue intermezzo lunghissimo, con notevole dispendio di saliva sul mio cappotto, sulle sue disavventure con la massoneria senese, e con il Partito Democratico. Adriano è qui perché crede che Renzi sia l'unico che può sbloccare la sua situazione, ma la Digos non gli ha permesso di registrarsi ed entrare alla Leopolda. “Sono l'unico cittadino a cui è stato negato l'accesso. Io credo in Matteo Renzi, ma a quanto pare la massoneria ha contaminato anche la Leopolda.”

A questo punto faccio l'errore madornale di lasciargli la mia mail. Appena cinque minuti fa mi è arrivata la sua sessantesima precisazione sulle presunte dinamiche che gli hanno impedito di partecipare all'evento. Ogni mail si fa sempre più cupa e cospirazionista, e credo che le utilizzerò per scrivere un romanzo verità.

Rientriamo nella sala dei tavoli, e le discussioni sono quasi finite. È il momento di tirare le somme e votare le proposte per alzata di mano. I responsabili scrivono le conclusioni da presentare al governo, e ricordano ai partecipanti di twittare immediatamente le loro impressioni. Al termine della prima sessione i partecipanti si alzano e si incitano a vicenda, soddisfatti di aver dato il loro contributo.

Mi avvicino al tavolo in cui si è discusso il problema dell'esodo dei giovani dall'Italia, e parlo con  Massimo, che ha 29 anni e vive in Inghilterra da dieci. Ha fondato la sezione del PD Londra, ed è uno dei più entusiasti nella sala.

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“Mi aspettavo una discussione più blanda, ma in realtà siamo giunti a conclusioni abbastanza concrete. Del resto questa è la Leopolda più difficile per come la vedo io: siamo al governo, e dobbiamo dimostrare che le nostre non sono soltanto promesse. Dobbiamo far parlare i fatti.”

Quando gli chiedo cosa pensa di chi potrebbe malignare sul fatto che questi tavoli rappresentino solo un'operazione di marketing mi ferma subito. “Qui stiamo facendo tutt'altra cosa. Basta con i discorsi, è il momento di essere concreti. Abbiamo fatto delle proposte per far cessare gli stage selvaggi, per incentivare l'imprenditorialità cercando di cambiare il modo in cui le banche e il paese si rapportano con i giovani, e per far sì che la nostra formazione sia più mirata alle dinamiche internazionali. Il resto conta poco.”

Al tavolo con lui c'erano anche questi due ragazzi di Verona.

“Ci siamo presentati con voglia di fare e speranza per il futuro. Per fare del bene per il paese al di là di qualsiasi orientamento partitico. Le proposte che abbiamo fatto potrebbero davvero entrare a far parte del programma del governo."

"Renzi invece è un carro armato, riceve critiche da tutti, ma va avanti. Il suo ottimismo è l'unico modo per far progredire il paese.”

Fra quelli con cui ho parlato, nessuno fondamentalmente è venuto alla Leopolda per curiosità o con qualche ragionevole dubbio. Sapevano tutti cosa avrebbero trovato e sono in sintonia perfetta con quello che li circonda. Utilizzano la stessa retorica del loro leader anche nei tweet. Scorrendo la pagina dell'hashtag, inframmezzati dalle numerose infamate di chi non è presente, si trovano quasi esclusivamente messaggi che potrebbero essere stati scritti da Renzi stesso.

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Facendo una rapida ricerca scopro che gran parte dei presenti alla Leopolda, oltre ovviamente a Renzi, retwitta anche Papa Francesco e Jovanotti.

Il tavolo di Davide Serra è ancora al lavoro: la discussione è stata interrotta più volte perché il povero Davide ha perso un sacco di tempo mentre sudava circondato dai giornalisti e rilasciava dichiarazioni che hanno aperto una delle polemiche più aspre della giornata.

Viene annunciata la fine dei tavoli mattutini, e tutti si catapultano nell'altra sala per il pranzo. Tentiamo anche noi di accaparrarci qualcosa al bouffet, ma la fila è serrata. I renziani più stagionati in particolare hanno la capacità di inserimento di Marco Tardelli nella mischia scontrino.

Ripieghiamo quindi verso il bar, dove mi ritrovo accanto a Serena Marzucchi, che ha partecipato all'ultima edizione di The Apprentice. “Io sono una renziana della prima ora, e nutro un'infinita fiducia nel presidente. Sono venuta alla Leopolda perché mi occupo di economia, e questo è un posto pieno di gente cool che prova davvero a fare qualcosa.”

Già dopo la prima mattina è chiaro che le mie supposizioni erano giuste. Renzi, nonostante le angosciose somiglianze e affinità con Berlusconi, ha creato un sostrato diverso per il suo popolo, e il suo leaderismo è fondato sull'essere un primus inter pares.

Il culto della personalità non è totale come quello berlusconiano, e i renziani non vedono in lui qualcuno che vorrebbero essere, ma qualcuno che in effetti li rappresenta. Rispetto ai berlusconiani non spendono il 90 percento del tempo a difendere il loro idolo, ma parlano di se stessi. Molti sono ansiosi di raccontarmi le loro iniziative, e i loro percorsi. Cosa ci fanno effettivamente qui.

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C'è meno identificazione e più senso di appartenenza. Che poi questa appartenenza sia reale e corrisposta dal governo o meno dal mio punto di vista poco importa: questa gente è qui per celebrare qualcosa di cui è convinta di far parte, e non per avallare le azioni di una persona su di cui riversano le proprie frustrazioni. Anche se non mancano attestati di stima e gratitudine.

Dopo pranzo arriva il momento degli interventi. Sul palco si alternano vari imprenditori, fra cui Vito Bertosa, Patrizio Bertelli e Andrea Guerra. La loro presenza serve a giustificare il clima di speranza e ottimismo che si respira alla Leopolda, ad ancorarlo a qualcosa di concreto. Non importa che le loro storie statisticamente rappresentino un punto sperduto sotto la coda in un distribuzione normale: il pubblico, incurante delle dinamiche del tokenismo, è ispirato e partecipe.

Renzi ricorda alla Leopolda che il motivo per cui si viene qui è “respirare l'ottimismo dell'infanzia. Riallacciarci ai nostri sogni.”

Dopo questo intermezzo ricominciano i tavoli, e tutti tornano produttivi. Io passo un sacco di tempo nei pressi di quello a cui partecipa Marianna Madia. Marianna, con i suoi capelli vittoriani e quell'aria un po' trasognata, mi fa venire voglia di indossare delle ghette, chiamarmi Heathcliff, e passare molto tempo sotto gli oleandri a pensare al destino.

Quasi tutti gli altri giornalisti, invece, circondano quello dove è seduta Maria Elena Boschi.

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Il copione è lo stesso della mattina, e fondamentalmente non c'è altro da aggiungere. La giornata si conclude con i ringraziamenti al pubblico e ai volontari, e l'invito a partecipare alla giornata di domani.

Domenica mi sveglio con più tranquillità, e alle nove sono già di fronte ai cancelli. Dal viale che porta alla stazione di Santa Maria Novella arriva l'eco dei cori di un gruppo di contestatori che si fa largo verso la Leopolda. È una delegazione dell'acciaieria di Terni, che è venuta a contestare il Presidente.

Nella mischia intravedo anche l'indomito Fontani, che alza il suo vessillo e tenta di farsi valere. “SONO UN PERSEGUITATOOO” urla. Uno degli operai di Terni lo guarda ridendo e gli da una pacca sulla spalla “nun raccontà bucie. N'c'avevi n'cazzo da fa!”

Noi lasciamo Adriano a combattere contro i mulini a vento, ed entriamo dentro perché sta per partire l'evento. In realtà tutta la mattinata è un lungo susseguirsi di interventi e testimonianze, come quelli del giorno precedente. Il pubblico si limita ad incitare e applaudire.

Il capo del servizio d'ordine, un energumeno fiorentino di due metri, intima a tutti i giornalisti di spostarsi nella sala riservata. Uno dei fotografi bestemmia pesantemente e chiede come sia possibile raccontare un evento fotografando lo schermo della sala stampa, ma lo sguardo spietato del suddetto signore lo zittisce subito.

Ogni tanto i volontari dell'organizzazione aprono degli spiragli per i fotografi, in modo che riescano a mettere insieme qualche immagine del palco. Io mi limito a sedermi nella sala stampa e a seguire gli interventi. Sul palco via via si alternano studenti, attivisti, e ministri. È il momento di tradurre in verbo quello che ieri era comunicato attraverso la presenza.

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Accanto a me si siede Concita De Gregorio, e io spendo un sacco di energie tentando di mantenere una postura diligente e assumere un'espressione che testimoni quanto mi stia sforzando di capire i risvolti politici della Leopolda. In realtà provo a sbirciare i suoi appunti, ma lei mentre scrive copre il taccuino con l'altra mano, quindi non riesco a leggere niente.

Dopo un po' un altro giornalista si siede accanto a Concita, e iniziano a sussurrarsi le loro impressioni. Riesco a carpire solo un “qui c'è un sacco di gente che fa finta di essere di sinistra…”

Sul palco intanto la gente continua a salire e scendere. I monologhi non sono mai lunghi, e nessuno sfora il gong che sentenzia quando è il momento di finire, tranne uno studente esaltatissimo che si becca un sacco di applausi quando urla la parola 'coraggio'.

Arriva finalmente il momento di Renzi.

Dopo aver lasciato sfogare l'autocompiacimento per due giorni, Renzi parte sostenendo di non voler parlare di Leopolda perché sarebbe troppo autoreferenziale, ma poi nella realtà dei fatti il suo monologo non è altro che un lungo riverbero sulla sesta corda. “Sarebbe bene capire se è più di sinistra rimanere ancorati alla nostalgia o provare a cambiare il paese!” (come, ipoteticamente, si sta facendo qui). Rafforza tutti i concetti espressi dal suo governo nell'ultimo anno, e insiste sulla necessità di cambio di mentalità da parte del partito. Ad ogni dichiarazione batte la mano sul leggio, e intima alla folla: “ditelo ai vostri amici che sono scesi in piazza!”

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Il passaggio che i giornali hanno trovato più significativo è quello in cui sostiene che ormai l'idea del posto fisso sia vecchia e irreale, ma quello che ha mi ha colpito di più è stato quello in cui ha effettivamente slabbrato la spaccatura nel partito: “Non consentiremo alla classe politica che ha definito imbarazzante la Leopolda, e che ha ridotto il partito al 21 percento, di riprendersi il PD!”

Applausi, ovazioni.

Il discorso termina con al promessa che tutte le proposte che sono state prodotto ieri verranno vagliate con cura, e che la direzione presa sarà percorsa fino in fondo.

L'esodo dei leopoldiani fuori dalla stazione è scandito da selfie, e noi ne approfittiamo per fare qualche ultima domanda e provare a tirare un po' le somme. Bene o male tutti mi comunicano gli stessi concetti sentiti e risentiti: noi rappresentiamo l'ottimismo, la speranza, l'innovazione, la voglia di fare.

Che la comunicazione, i modi, e la faccia stessa di Renzi vi suscitino sapore di millanterie e vuota retorica quanto la suscitano a me o meno, questa Leopolda sembra aver ancor di più cementificato la posizione del corpus elettorale che supporta il governo.

Il contributo più importante della giornata me lo lascia Giulio, un ragazzo che nel 2011 ha iniziato a seguire Renzi e ha fondato FuturDem, un'associazione politico-culturale che sostiene il movimento.

“Il Movimento 5 Stelle aveva trasmesso un messaggio giusto, ma poi non è riuscito a concretizzarlo. Matteo Renzi invece ce l'ha fatta. La sinistra intellettuale ha tacciato entrambi di populismo, ma io mi sento di dire che in realtà il populismo non una cosa sbagliata di per sé, specialmente quando è in grado arrivare al cuore e alla mente dei cittadini.”

Che il populismo e le maieutiche sloganiste vi sembrino sbagliate o meno, che i discorsi sulla coerenza e sui fatti vi sembrino credibili o meno, la Leopolda è il caposaldo della maggior forza politica del paese. E il messaggio che veicola sembra spargersi a macchia d'olio. Ogni anno di più.

Segui Niccolò su Twitter: @NCarradori