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La psicosi Ebola in Italia ha raggiunto livelli imbarazzanti

L'aumento delle vittime in Africa e il contagio dell’infermiera spagnola hanno causato una nuova ondata di panico per l'Ebola. Ma quando alla xenofobia si aggiungono i falsi allarmi dei media tradizionali, il risultato è imbarazzante.
Leonardo Bianchi
Rome, IT

La lotta all'ebola a Monrovia, Liberia. Foto di Tim Freccia.

Qualche mese fa, quando l’epidemia di Ebola non era ancora diventata “la più grave emergenza sanitaria degli ultimi anni,” avevo scritto di come sui social network e su certi siti nazi-populisti le bufale sullo sbarco del virus in Italia avessero creato il pretesto per scatenare un’autentica caccia all’untore—il “clandestino,” ovviamente.

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Per un po’ di tempo l’isteria si era messa a tacere, sebbene gli sviluppi nei paesi più colpiti dell’Africa occidentale fossero tutt’altro che positivi.

Nelle ultime settimane l’aggravarsi del bilancio, e soprattutto il contagio dell’infermiera spagnola, hanno causato una nuova ondata di psicosi Ebola. Ora siamo più o meno tutti terrorizzati da un suo eventuale arrivo e che disaster movie alla Virus Letale possano diventare reali.

Questa paura è ben riflessa nei media “tradizionali,” che da settimane sono pieni di falsi allarmi, “casi sospetti” e titoli SEO-friendly che spesso e volentieri sono confutati due righe più sotto.

Ebola: caso sospetto 'probabile' a Bruxelles http://t.co/hch91Hyoi0

— Rainews (@RaiNews) October 13, 2014

Ieri a Brescia, ad esempio, un “cittadino straniero” tornato di recente dall’Africa ha telefonato al 118 denunciando “sintomi compatibili con quelli del virus Ebola” e facendo scattare all’ospedale Civile il protocollo anti-contagio. Le analisi hanno poi confermato che si trattava di malaria e non Ebola. Ma al diffondersi della notizia nella struttura, come riporta BresciaToday, “è iniziato un fuggi fuggi generale: ‘è il paziente zero in Italia'.”

Quanto successo a Brescia dimostra come il confine tra allarmismo e cautela sia molto poroso, specialmente quando si è alle prese con un'epidemia oggettivamente terrificante come questa. Il compito di una stampa scrupolosa, pertanto, dovrebbe essere quello di aiutare “a distinguere una notizia da una non-notizia,” e a non diventare “il megafono della disinformazione e degli stereotipi più diffusi.”

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Purtroppo, certi casi dei giorni scorsi sono andati esattamente nella direzione opposta.

Il pomeriggio del 14 ottobre le agenzie battono la notizia di un aereo della Turkish Airlines atterrato d’emergenza a Fiumicino perché “due passeggeri del volo si sarebbero sentiti male durante la traversata da Istanbul all’Italia.” “L’allarme Ebola” scatta subito, e dai tweet di alcune testate sembra davvero che la malattia sia alle porte dell’Italia.

Allarme #Ebola su aereo fatto atterrare a Fiumicino, 2 'sospetti' portati a Spallanzani Roma http://t.co/VRvuZ04MzI pic.twitter.com/MPPhgFksZN

— Agenzia ANSA (@Agenzia_Ansa) October 14, 2014

I “sospetti” in questione, si viene a sapere subito dopo, sono “una donna del Bangladesh” e la figlia di quattro anni, ed entrambe non risultano positive all’Ebola.

La mattinata prima, sempre a Roma, un cittadino somalo residente da due anni in Italia si presenta all’Ufficio immigrazione della Questura di Roma per rinnovare il permesso di soggiorno. A un certo punto si sente male e inizia a sanguinare dal naso. Vedendo un africano che perde sangue, dall’ufficio parte tempestivamente l’allerta Ebola e la segnalazione al 118. Quando l’uomo viene ricoverato al Policlinico Umberto I, tuttavia, i medici gli diagnosticano un episodio di epilessia.

Ma se a fine mattinata l’allerta è già rientrato, nel mondo dei media deve ancora iniziare. E ricostruire come si sia propagato questo falso allarme è davvero istruttivo. La fonte, infatti, è un comunicato di un sindacato di Polizia, ANIP-Italia Sicura. Nel testo—che è pieno di frasi rivelatorie come “i controlli all’arrivo dei barconi sono sommari e frettolosi” e “i soliti poliziotti senza protezione” sono costretti “a fare da accompagnatori” ai migranti—non si menziona mai esplicitamente Ebola.

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Lo fa però un’agenzia che, letto il comunicato dell’ANIP, decide di infilare Ebola nel titolo di un lancio. Quest’ultimo è poi ripreso acriticamente da tutte le testate nazionali, che nell’arco di 15 minuti passano da “caso sospetto” a “falso allarme” con risultati di questo genere.

Ebola, allarme a Roma: somalo sanguina, procedura di sicurezza http://t.co/9RTYED51bv pic.twitter.com/zl24C9YCmM

— Corriere della Sera (@Corriereit) October 13, 2014

Nel corso della stessa giornata, un altro “caso sospetto” di Ebola si è registrato a Milano con modalità abbastanza simili a quello di Roma. Un cittadino ghanese, imputato in un processo per diretissima, si è sentito male in aula e ha iniziato a sputare sangue.

Il giudice ha subito deciso di ricoverarlo all’ospedale Sacco, che insieme allo Spallanzani di Roma è il centro di riferimento italiano per il trattamento dei casi di Ebola, nonostante i soccorritori del 118 volessero portare l’uomo al pronto soccorso. Al Sacco, ha riferito l’infettivologo Giuliano Rizzardini, “non è stato necessario neppure attivare il protocollo di isolamento previsto per la malattia.”

Titolo e sottotitolo che si smentiscono a vicenda sull’edizione milanese di Repubblica.

Lo stesso Rizzardini, in un’intervista di qualche giorno prima, aveva criticato l’approssimazione dei mezzi di informazione e chiesto di “fare una virata e uscire dal panico,” perché “siamo arrivati al punto che oggi ogni persona di colore può essere un pericolo: no, questa è solo paura e disinformazione.”

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Ed in effetti, come mi spiega il dottor Nicola Petrosillo, infettivologo che lavora allo Spallanzani, l’arrivo di Ebola in Italia è “un evento improbabile, ma possibile. È importante essere preparati e avere delle misure che ci permettano di poterlo identificare e isolare adeguatamente.” In Italia, continua Petrosillo, le strutture e le competenze per affrontare il virus ci sono: “Abbiamo dei laboratori preparatissimi, che in poche ore ci possono dare i risultati del test, delle strutture con delle capacità d’isolamento adeguate e i materiali per la prevenzione dell’infezione negli operatori sanitari.”

In più, dice il medico, c’è la “preparazione necessaria” che deriva da “una rete infettivologica già sperimentata in passato con situazioni di questo genere come la Sars, oppure le problematiche legate al bioterrorismo e quant’altro. Certo, l’imprevedibile può capitare in qualsiasi momento.”

Nonostante gli esperti e chi è in [prima linea](http:// http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/11/ebola-direttore-spallanzani-italia-rischio-basso-ma-non-impossibile-teniamoci-pronti/1152007/) nella lotta all’Ebola invitino alla calma, c’è chi è ben disposto ad alimentare la paura sfruttando informazioni imprecise.

All’inizio di ottobre i quotidiani locali di Perugia avevano parlato di un “caso sospetto” all’ospedale Santa Maria della Misericordia. La circostanza era stata prontamente smentita dall’azienda ospedaliera, che aveva anche denunciato le “notizie allarmistiche ed incontrollate.” La possibilità di un caso sospetto aveva eccitato gli animi della sezione cittadina di CasaPound, che su Facebook aveva sparato a zero su Mare Nostrum e delirato di “Fermare la morte, di uomini e di una Nazione!”

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Pubblicazione di CasaPound Italia Perugia.

CasaPound, comunque, può contare su validi alleati in questa impresa di disinformazione. Domenica scorsa un centinaio di militanti di Fratelli d’Italia, capeggiati dall’ex ministro Ignazio La Russa, ha “invaso” la stazione centrale di Milano per protestare contro l’immigrazione clandestina e Mare Nostrum. Oltre alle bandiere date addosso ai contestatori, il momento più alto della manifestazione è stato sicuramente quello in cui due manifestanti vestiti con le tute anti-infenzioni hanno mostrato uno striscione con la scritta: “Ebola no grazie.”

Nello sfruttare l’epidemia per cercare un tornaconto politico non può naturalmente mancare la Lega Nord, a partire da Matteo Salvini in giù.

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Pubblicazione di Matteo Salvini.

Non appena è uscita uscita la notizia che il contagio di Ebola può avvenire con rapporti sessuali anche tre mesi dopo la guarigione, il governatore del Veneto Luca Zaia ha colto la palla al balzo per fare questo tweet:

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#Ebola, virus rimane in corpo 50-60 giorni: è emergenza da non sottovalutare, doveroso chiudere frontiere

— Luca Zaia (@zaiapresidente) October 13, 2014

In realtà, non è per nulla "doveroso" chiudere le frontiere. Secondo il dottor Petrosillo, lo scenario dell’arrivo di Ebola con gli sbarchi sulle coste italiane è “veramente improbabile: stiamo comunque parlando di un’epidemia che si trova in Africa occidentale, Liberia, Sierra Leone e Guinea, che è molto lontana.”

Le persone che volessero arrivare in Italia da quei paesi dovrebbero infatti arrivare prima sulle coste nordafricane e poi sulle nostre, compiendo un percorso troppo lungo per un malato di Ebola. “Questa infezione ha un periodo di incubazione che al massimo è di 21 giorni,” prosegue il medico, “ma che all’atto dell’eventuale contagio si manifesta con una sintomatologia empirica già dopo 5-6 giorni. Non c’è materialmente il tempo tecnico di sviluppare nel nostro paese un’eventuale infezione.”

Tuttavia c’è chi, come l’eurodeputato Gianluca Buonanno, supera a destra Zaia e va oltre la chiusura delle frontiere. L'uomo che ha un ritratto di Vladimir Putin appeso nel suo ufficio, infatti, è intenzionato a sottoporre al “controllo sanitario” tutti “gli africani” e “tutte le persone provenienti dall’Africa” che abbiano la sfortuna di capitare a Borgosesia, comune di cui è sindaco.

Pandemia Ebola: a Borgosesia controlli sanitari a chiunque provenga o sia stato in Africa, africani o non! pic.twitter.com/rTcr0pfC6s

— Gianluca Buonanno (@BuonannoG) October 14, 2014

Una proposta simile a quella di Buonanno è arrivata dal sindaco di Padova, Massimo Bitonci. In un post su Facebook, il primo cittadino leghista ha detto di stare lavorando a un’ordinanza “anti-ebola” che “vieti la dimora a Padova, anche occasionalmente, di persone provenienti dall’area africana, se non in possesso di certificato attestante lo stato di salute.”

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Pubblicazione di Massimo Bitonci.

Naturalmente, ha assicurato Bitonci, “non è mia intenzione né discriminare, né negare il diritto alla cura.” E ci mancherebbe: nessuno si sognerebbe mai di usare il termine “discriminazione” quando le decisioni sono prese in base al colore della pelle di una persona.

Segui Leonardo su Twitter: @captblicero