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A Raqqa è in atto un massacro, e queste persone rischiano la vita per documentarlo

Gli attivisti del gruppo “Raqqa is being slaughtered silently” hanno deciso di documentare la vita sotto lo Stato Islamico mediante la condivisione online di foto, video e storie. Abbiamo intervistato uno di loro.

Questo post è tratto da VICE News. Foto via Raqqa Media Center

Qualche giorno fa, un video mandato in onda dall'emittente francese France 2 ha mostrato alcune scene di vita quotidiana a Raqqa, in Siria, la capitale di fatto dello Stato Islamico.

Il video è stato filmato in segreto da una donna che ha nascosto la telecamera dietro il niqab, e mostra uomini armati che pattugliano la città, una donna con un AK-47 in un parco giochi e un internet point dal quale donne straniere trasferitesi nel Califfato telefonano ai parenti in Francia per dare loro notizie.

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Come per il documentario di VICE News, il video fa luce su Raqqa, dove la vita sotto il controllo dello Stato Islamico è tanto terribile quanto inaccessibile a chi viene da fuori—una testimonianza sia della violenza del califfato che della sua efficienza burocratica.

Nonostante il dissenso sia stato quasi del tutto soffocato—e punito con la morte—un gruppo di giovani si è preso l’incredibile rischio di documentare la vita sotto lo Stato Islamico mediante la condivisione online di foto, video e storie di quello che avviene in città. Il gruppo ha proseguito la sua attività anche dopo che uno dei suoi membri è stato giustiziato, e spesso lo fa parlando con i giornalisti.

Raqqa is being slaughtered silently” non è solo il nome sotto cui operano, ma anche la ragione stessa della loro attività: accertarsi che il mondo senta e veda cosa succede nella città, al momento bersaglio sia della violenza dell’ISIS sia degli attacchi statunitensi.

VICE si è messa in contatto con il 22enne Abu Ibrahim Raqqawi, un membro del gruppo che negli ultimi quattro anni è passato dalla Facoltà di Medicina all'attivismo contro il regime di Bashar al-Assad per approdare alla cronaca del destino della sua città sotto il controllo dello Stato Islamico. Prima di essere costretto a fuggire, due settimane fa, aveva documentato una crocifissione.

Con lui abbiamo parlato del filmato recentemente diffuso dall'emittente francese (l'autrice non ha nessun legame con il gruppo) e della vita a Raqqa, così come delle divisioni tra membri arabi e stranieri dell’ISIS, e della percezione degli attacchi statunitensi da parte della popolazione civile.

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VICE: Come opera il vostro gruppo?
Abu Ibrahim Raqqawi: Il nostro movimento si chiama “Raqqa is being slaughtered silently,” è partito ad aprile 2014. La ragione che sta dietro al progetto è costituita dai molti crimini che l’ISIS commette in città senza che nessuno al mondo ne venga a conoscenza. Da quando abbiamo deciso di documentarli e dato la notizia di molte crocifissioni ed esecuzioni, siamo stati il tema centrale di tre sermoni del venerdì in cui ci hanno definito degli infedeli nemici di Dio, e hanno dichiarato che ci “cattureranno e giustizieranno.” Eravamo 17 ma sfortunatamente uno di noi è stato catturato e giustiziato dall’ISIS dopo che l'hanno sorpreso con i filmati e le foto di alcune esecuzioni. Così abbiamo deciso di cambiare strategia: 12 di noi sono in città e quattro fuori. Prima queste 12 persone pubblicavano direttamente il materiale su Facebook e Twitter e parlavano con i giornalisti, ma è molto pericoloso. Quindi abbiamo deciso di utilizzare una “stanza segreta” in cui le persone che stanno all’interno della città depositano tutto il materiale, mentre gli altri quattro lo pubblicano su internet, Twitter e Facebook e parlano con i giornalisti. Ci nascondiamo dietro pseudonimi e non ci fidiamo di nessuno, così non ci prendono.

Quelli che non vivono a Raqqa dove si trovano, esattamente?
Tre di loro sono in Turchia. Io sono scappato da Raqqa circa due settimane fa, ma non mi trovo né in Turchia né in Siria. Sono scappato perché volevano giustiziarmi, ma la mia famiglia è ancora a Raqqa.

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Siete tutti di Raqqa?
Sì, tutti. Siamo nati e cresciuti lì.

Prima che arrivasse l’ISIS vi opponevate al regime di Bashar al-Assad?
Abbiamo iniziato con l'attivismo proprio contro il regime di Assad, ma dopo che la città è stata liberata e che lo Stato Islamico ha preso il controllo, abbiamo deciso di lanciare questa campagna per mettere a nudo i crimini dell’ISIS e di tutti gli altri gruppi estremisti della città.

Recentemente è stato diffuso il video di una donna che con una telecamera nascosta nel niqab ha filmato la vita quotidiana a Raqqa, specialmente quella delle donne.
Ho visto il video. Si tratta di una telecamera segreta e molto costosa. Il nostro problema è che non possediamo telecamere, ma usiamo i cellulari, ed è molto pericoloso scattare foto in città. Prima di tutto perché l’ISIS ha installato videocamere in tutta la città, e poi perché ci sono molti posti di controllo. Inoltre in città internet è lentissimo, così siamo costretti a usare gli internet point, ma è molto pericoloso perché sono sotto la stretta sorveglianza dell’ISIS. Quando fotografiamo le esecuzioni con il cellulare rischiamo effettivamente la vita. Il secondo problema, e quello più grosso, è la brigata Al-Khansa. È composta da sole donne appartenenti all’ISIS; sono armate e controllano tutte le donne della città, perquisendole e accertandosi che indossino il niqab.

Queste donne sono siriane o straniere?
La maggior parte di loro sono straniere.

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Da dove vengono?
Da tutto il mondo. Dal Regno Unito, da Stati Uniti, Olanda, Cecenia.

Parlano tutte arabo?
Alcune no, mentre altre conoscono solo qualche parola. Il problema in quanto attivisti che vanno in giro a scattare foto a Raqqa, è che è pieno di donne con il velo, capisci? Quindi non si capisce chi di loro fa parte della Khansa e chi no. E quando tiro fuori il cellulare per scattare foto, proprio per via del velo non riesco nemmeno a capire se mi stanno guardando o meno. Se ti sorprendono a fare foto ti catturano all’istante e vieni giustiziato subito. Per noi è un bel problema.

Cosa significa Al-Khansa?
È un nome. Deriva da una donna che agli albori dell'Islam aveva perso quattro figli in battaglia, e da allora è nota come Al-Khansa, madre di molti martiri.

Che casi hai seguito quando eri a Raqqa, per quanto riguarda la vita delle donne?
Abbiamo mostrato le immagini di due donne lapidate.

Sai perché sono state lapidate?
Dicevano che fossero colpevoli di adulterio.

Ho letto di donne deportate dall’Iraq come schiave, molte delle quali yazidi.
È falso, è solo propaganda.

Le donne armate della Khansa si occupano anche delle esecuzioni, o consegnano i sospettati agli uomini del gruppo?
Li consegnano agli uomini e basta. Arrestano le donne, le frustano, cose di questo genere, ma non giustiziano nessuno.

Come reagiscono a tutto questo le tue sorelle, le tue parenti di sesso femminile, e le altre donne di Raqqa?
Le donne non possono dire “no”. Le cose peggiori successe a Raqqa riguardano le donne. Ora come ora le donne della Khansa dicono persino, “Non puoi indossare scarpe colorate, è illecito [haram]. Solo scarpe nere.” Molte si occupano anche di cercare mogli per i combattenti dell’ISIS. Dicono che quelle che vogliono sposarsi con uno dell'ISIS devono indossare un velo bianco sotto quello nero, in modo che possano riconoscerle. Ma le donne non vogliono, a nessuna di loro non piace l’ISIS.

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Ci sono casi di donne costrette a sposare membri dell’ISIS?
Non è l’ISIS che le costringe ma i loro padri, perché i combattenti dell’ISIS hanno soldi e potere. C’è stato il caso di una ragazza di 18 anni, Fatima, che dopo essere stata costretta dal padre a sposare un combattente tunisino si è suicidata. Un'altra ragazza di cui non ricordo il nome, costretta anche lei dal padre a sposare un membro tunisino dell'ISIS, è finita in ospedale a causa di… come dire… violenza sessuale.

Ci sono molti combattenti tunisini, visto che li citi spesso?
Allora, funziona così: i soldati provenienti da Marocco, Tunisia e via dicendo vogliono sposare le siriane. Ma quelli che vengono da Regno Unito o Stati Uniti preferiscono portare le loro o sposare un'altra straniera, svedese o olandese. Stanno tra loro. C'è una sorta di muro tra loro e la popolazione di Raqqa perché non capiscono la lingua, non piacciono alla gente, si prendono le case più belle e i soldi della gente…

Chi comanda? Gli stranieri o gli iracheni e i siriani?
Per lo più iracheni e tunisini. Ma soprattutto iracheni.

Com'era Raqqa prima dell'ISIS e della guerra, specialmente per quanto riguarda le donne? Avevano possibilità di lavorare?
Era una città normale, come qualsiasi altra città del mondo. C'erano dottoresse, avvocatesse e maestre. Molte donne non portavano nemmeno il velo. Era una città varia, c'erano matrimoni misti, come caffè e ristoranti misti. Una città qualunque.

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Oggi alle donne è permesso lavorare?
No. Solo le maestre possono, e comunque non possono fare da insegnanti agli alunni maschi con più di sei anni.

C'è ancora qualche ragazza che va a scuola?
L'istruzione si è bloccata, da quando l'ISIS ha preso il controllo della città. Università, scuole, tutto chiuso. Dicono di voler stampare nuovi libri speciali, costruire scuole speciali, ma per ora non c'è niente, e per di più le maestre devono seguire i corsi dell'ISIS per essere abilitate all'insegnamento, altrimenti non possono insegnare.

Ci sono altre organizzazioni segrete, o gruppi come il vostro?
Gli attivisti sono quasi inesistenti.

Pensi che siano sulle tracce della donna che ha girato quel video?
Penso che adesso questa donna sia in Turchia, perché nel filmato la si vede in volto. Non credo che farà ritorno a Raqqa.

Sei preoccupato per i tuoi famigliari rimasti a Raqqa, considerato ciò che fai?
Certamente. Due settimane fa alcuni combattenti si sono presentati a casa di un membro del nostro gruppo che adesso si trova in Turchia. Lo stavano cercando, e hanno detto al padre, “Se tuo figlio non smette di parlare di noi avrai guai.”

Come proteggi la tua famiglia? Vuoi portarli via?
È davvero una brutta situazione. Non si può farli scappare.

La tua famiglia rispetta questa tua decisione?
Non solo la mia famiglia, ma tutta la città di Raqqa, perché siamo tutti stufi dell'ISIS.

Quanto pensi che durerà? E quando pensi di poter tornare a Raqqa?
Non lo so, ma quando l'ISIS lascerà la città tornerò immediatamente.

Cosa pensa la gente di Raqqa degli interventi militari degli Stati Uniti?
Direi che la popolazione di Raqqa è divisa a metà. Una parte dice “venderei l'anima al diavolo solo per cacciare l'ISIS, perché siamo stufi. Ne abbiamo avuto abbastanza e li vogliamo fuori di qui, rivogliamo la nostra libertà, le nostre vite, i nostri figli e tutti i 1.200 abitanti di Raqqa che sono in prigione.” Vogliono che questi attacchi portino l'ISIS fuori dalla città ma allo stesso tempo li temono e non vogliono che civili, prigionieri e famiglie innocenti rimangano coinvolte. L'altra parte, me compreso, è contro questi attacchi aerei: se l'Occidente voleva la nostra libertà, perché non ha bombardato il regime di Assad dopo che questi ha fatto uso di armi chimiche, e perché non hanno bombardato il regime di Assad se è da quattro anni che invochiamo il loro aiuto? Non hanno fatto nulla. Ora lo fanno solo a causa dell'ISIS, non per noi. Per questo siamo contro gli attacchi. La popolazione è divisa a metà, ma tutti hanno paura che i bombardamenti uccidano persone innocenti.

È vero che i soldati dell'ISIS usano i civili come scudi umani?
Sì. Dopo il discorso di Obama, dopo che ha annunciato il bombardamento delle basi dell'ISIS in Siria, hanno trasferito tutte le loro famiglie in periferia. Ora tutti i loro edifici sono vuoti, ci sono solo due o tre guardie a sorvegliarli, mentre i soldati dell'ISIS stanno requisendo gli appartamenti della gente di Raqqa—ai civili, ai cristiani, a quelli che scappano dalla guerra. In alternativa, se per esempio possiedi tre case, loro vengono e ti dicono, “non hai bisogno di tre case, ne puoi tenere una e noi prendiamo le altre due per i combattenti stranieri.” La popolazione è spaventata, non puoi dire di no. Sanno che se si rifiutano andranno incontro a gravi conseguenze; potrebbero essere imprigionati perché “contro lo Stato Islamico.” Per esempio se c'è un edificio con dieci appartamenti, sei vanno all'ISIS e quattro rimangono alla gente di Raqqa. Ogni appartamento conta 10 o 15 inquilini, quindi li usano come scudo umano, per nascondersi fra loro.

A Raqqa c'è ancora chi tenta di resistere all'ISIS? C'è chi passa dalla loro parte per convinzione, o lo fanno solo per sopravvivere?
La maggior parte della popolazione di Raqqa è contro l'ISIS, forse anche il 90 percento. Il restante 10 viene comprato dall'ISIS con denaro e promesse di potere, ed è per queste ragioni che accettano l'ISIS in città. Dopo gli attacchi aerei c'è anche chi ha detto, “mi schiererò con l'ISIS contro questi bombardamenti.” Ma la maggioranza è stanca e vuole soltanto che se ne vadano.

Segui Alice Speri su Twitter: @alicesperi