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vita vera

'Ultras Liberi', storia del fasciofont

È il font degli striscioni nelle curve di mezza Italia, ma le sue origini vanno ben oltre gli stadi.

Prima di tutto, mettiamoci d’accordo: si dice il font e non la font, intesi? Poi: l’arte tipografica, lo sappiamo, è roba da specialisti. Nonostante l’apposita finestrella su programmi tipo Word e simili (quella perennemente settata su Times New Roman, per capirci), termini come “carattere”, “font”, “typeface” restano perlopiù patrimonio di un’élite di smanettoni e diplomati allo IED, e a parte loro sono veramente in pochi a saper individuare le differenze tra, non so, un Helvetica e un Akzidenz-Grotesk. C’è un carattere però che scommetto siete tutti in grado di individuare al primo sguardo. Magari non ne conoscete il nome, ma di sicuro vi è familiare, anche perché da un po’ di tempo è ovunque. Il carattere è questo:

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Si chiama Ultras Liberi, o perlomeno questo è il nome con cui tale font è stato ufficializzato da un anonimo designer, dopo che per anni le curve di mezza Italia l’hanno esposto in un’interminabile fila di striscioni, cartelli, manifesti e così via.

Alessio D’Ellena, un grafico e type designer di base a Milano che ho contattato per i ragguagli “tecnici” del caso, me l’ha descritto come “un carattere di impostazione geometrica, quei font cioè in cui la morfologia della lettera viene modificata da forme geometriche, modulari. Altri esempi della stessa famiglia sono il Futura, l’Avantgarde…”

Il nome Ultras Liberi dovrebbe esplicitamente rimandare alle sue origini “da stadio”, ma la realtà è che il font in questione altro non è che l’ultima evoluzione di un carattere la cui storia va avanti da decenni, senza peraltro che nessuno studioso o esperto del settore se ne sia apparentemente interessato. Anche perché, spiega di nuovo D’Ellena, “si tratta di un classico esempio di tipografia vernacolare, quella cioè che non appartiene alla storia ’maggiore’ dell’arte tipografica, ma che deriva da forme popolari come le insegne e cose del genere. Non è insomma un carattere che nasce da una precisa consapevolezza tecnica. Appartiene più alla tradizione di esperienze come Atelier Populaire, il gruppo di studenti che nel 1968 produceva anonimamente poster per il maggio francese.” L’accenno a Atelier Populaire, viste le origini del font, può suonare paradossale; ma non corriamo troppo e andiamo per gradi.

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A dire il vero, il nome con cui per anni mi sono riferito al sedicente Ultras Liberi è un altro: fasciofont. È una definizione che a quanto vedo uso praticamente solo io (una rapida ricerca su Google dà come esito un risultato in una discussione su Google Groups inesplicabilmente intitolata “(OT) Benefattori di Santa Romana Chiesa”), ma anche qui sono sicuro che avrete spontaneamente assentito e sottoscritto. Di fatto Ultras Liberi è lo stesso carattere, con minime varianti, utilizzato dalla pubblicistica di estrema destra da… be’, diciamo da quasi cinquant’anni, o perlomeno questa è la conclusione a cui sono arrivato dopo una prima, sconclusionata indagine.

Probabilmente, uno più addentro agli opachi ambienti del neofascismo italiano sarebbe stato in grado di ricostruire le origini del font in pochi, agili secondi. A me invece è toccato un faticoso e pure un po’ sgradevole processo di documentazione a cavallo tra ricordi personali, brainstorming improvvisati con esperti e analisi delle fonti rimediate in rete. Di sicuro, in manifesti scritti in Ultras Liberi mi imbatto ogni volta che su qualche muro compare un manifesto firmato Forza Nuova.

Ma i miei primi ricordi di questo strano carattere allungato e vagamente novecentesco, contemporaneamente rigido e asimmetrico, risalgono agli anni del liceo e alla stagione del neofascismo pre-Casapound, quando a dettare legge erano formazioni come Movimento Politico e Meridiano Zero. Si trattava sostanzialmente di una versione snella e semplificata del tipico carattere utilizzato a suo tempo dal Fronte della Gioventù, come testimonia questo scatto raffigurante l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno a una manifestazione dei primi anni Ottanta:

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La principale differenza con Ultras Liberi è nell’enfasi data dal grassetto; alcune lettere—la R e la G, per esempio—sono praticamente identiche, altre denunciano discrepanze anche evidenti, ma l’identità di fondo è indiscutibilmente la stessa. La domanda a questo punto è: a chi si deve l’invenzione del carattere? Da dove viene? Quando è nato?

Quello che sappiamo è che il “carattere Fronte della Gioventù” ebbe enorme diffusione negli ambienti dell’estrema destra italiana già alla fine degli anni Settanta. Era un glifo che sembrava identificare una precisa area del neofascismo nostrano, quella diciamo così più movimentista, giovanile e “creativa”. Un tipico esempio furono i Campi Hobbit organizzati tra 1977 e 1981 che coi soliti 15 anni di ritardo tentavano di replicare modelli sia aggregativi che comunicativi tipici delle controparti genericamente “di sinistra”.

È interessante notare come l’altro segno che negli stessi anni si impone come elemento identitario dei giovani neofascisti è la croce celtica: un simbolo che evidentemente poco ha a che vedere con l’italianissima eredità mussoliniana, e che viene in effetti importato dall’armamentario simbolico dell’estrema destra francese. Il rapporto tra neofascismo italiano e nazionalismo d’Oltralpe è sempre stato molto stretto, come testimonia l’utilizzo, da parte del Front National francese, dello stesso logo originariamente brevettato dall’MSI: una fiamma tricolore. Ora, se diamo un’occhiata a questa istantanea raffigurante un congresso di Ordre Nouveau, movimento dell’estrema destra francese attivo tra 1969 e 1973, dietro al palco dei relatori, giusto accanto alla croce celtica di rito, compare lui: il carattere dei Campi Hobbit e del Fronte della Gioventù, l’antenato dell’Ultras Liberi. Che la sua origine sia francese, esattamente come nel caso dell’altrettanto fortunata croce celtica?

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Quello che sappiamo è che Ordre Nouveau poteva contare su un piccolo nucleo di illustratori e disegnatori molto impegnati nella certosina definizione di quella che, prendendo spunto dal lessico del marketing, potremmo chiamare corporate identity. Il più noto tra questi è Jack Marchal.

Marchal è il fumettista a cui si deve l’invenzione del “ratto nero”, il topo di fogna diventato, in uno slancio di sagace ironia, il Mickey Mouse dei neofascisti prima francesi e poi italiani; lo stesso topo che avete visto raffigurato nel manifesto del Campo Hobbit di cui prima, e che venne originariamente concepito come mascotte del GUD – Groupe Union Défense, ennesima sigla dell’estrema destra francese post-sessantottesca: qui il suo logo.

Arrivati a questo punto avrete già notato che, assieme al topo e all’onnipresente celtica, il logo dell’organizzazione è disegnato a china nel più puro e inconfondibile fasciofont. È un fasciofont molto “fumettoso” e ancora lontano dalla squadrata pulizia di un Ultras Liberi, ma a posteriori possiamo dire che già ne annuncia le linee. Marchal dichiarò che, nella definizione del carattere, venne dapprima ispirato da un manifesto del 1968 di Occident, il movimento da cui in seguito sarebbe nato lo stesso Ordre Nouveau. Il manifesto in questione, firmato dall’illustratore Frédéric Brigaud, dovrebbe essere questo.

È un manifesto interessante perché a un primo sguardo sembra null’altro che una contraffazione dei più tipici motivi dell’underground psichedelico anni Sessanta—cosa che in effetti è: il complesso d’inferiorità dei “giovani creativi” di destra nei confronti dei più temerari omologhi dall’altra parte della barricata è cosa nota. Nel manifesto di Brigaud, il lettering neofloreale dell’evo lisergico viene in qualche misura squadrato, irregimentato (metafora involontaria? Dichiarazione d’intenti? Riflesso condizionato della mentalità del suo autore?), pur conservando le forme svolazzanti dei favolosi Sixties. Quella che Jack Marchal introduce coi manifesti per il GUD, è invece una versione ordinata e riproducibile dello stesso carattere; un font che qualche solerte fan dell’autore ha poi classificato, catalogato e infine ribattezzato Ratanegra.

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A confronto del più recente Ultras Liberi, il Ratanegra appare evidentemente molto diverso. Ha un’aria meno minacciosa, le linee sono sporche e irregolari, e anche la leggibilità viene compromessa da un grassetto che rimanda più alla sfera del fumetto che a quella del dazebao. D’Ellena mi dice che “Ratanegra e Ultras Liberi sono due font molto diversi, almeno negli esiti. Alcuni elementi rimangono identici—la R per esempio è il caso più vistoso, così come la proporzione monospaziata tra le lettere—ma il percorso storico che ha portato da un carattere all’altro ne ha drasticamente mutato le forme. Ratanegra è quello che viene definito carattere ’fantasia’, molto disegnato, anche se utilizza comunque elementi geometrici piuttosto evidenti; questo elemento geometrico in Ultras Liberi prende il sopravvento, al punto che stabilire una correlazione diretta col precedente di Ratanegra quasi diventa impossibile. Ma è proprio la vicenda storica la parte interessante. Intatta comunque è la matrice amatoriale, non professionale da cui prende forma il glifo. Come si dice in gergo, è roba handwrite."

Differenze stilistiche a parte, è quindi il Ratanegra di Marchal l’origine di tutte le varianti tipografiche che porteranno in ultima istanza alla nascita dell’Ultras Liberi. A inizio anni Settanta venne introdotto in Italia da Teodoro Buontempo e Sergio Caputo (il futuro cantautore, autore di "Un sabato italiano" e "Il Garibaldi innamorato") per la rivista L’Alternativa; Marco Tarchi, lo stesso a cui si deve l’invenzione dei Campi Hobbit, lo impiegherà per il foglio fasciosatirico La voce della fogna; un aggiustamento dopo l’altro, il carattere inventato da Marchal si impone come segno di riferimento del giovanilismo neofascista, dal Fronte della Gioventù alle più irregolari organizzazioni alla destra dell’MSI. Il rapporto tra estrema destra e tifo organizzato lo sdoganerà infine sugli stessi spalti su cui fino a pochi anni prima campeggiavano ritratti del Che Guevara ed effigi di Ranxerox.

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Negli ultimi anni la fortuna dell’originario fasciofont è stata tale dall’aver contagiato ambiti tra loro anche diversissimi, oltre che ideologicamente disparati. In qualche misura, mi viene da dire che è stato “sdoganato”, e non è una cosa che mi rende particolarmente allegro: se non altro perché la forma è già un principio di contenuto.

Per dire, Ultras Liberi è stato per esempio il carattere semiufficiale dei Forconi, un particolare che da solo basta a sconfessare la presunta “apoliticità” del movimento, come d’altronde puntualmente analizzato, dal punto di vista dell’utilizzo dei segni, da Alessandro Tartaglia in un articolo uscito sul portale Net Politics. Ma la cronaca ci ha anche regalato episodi al limite del grottesco come la manifestazione podistica Grottaferrata Corre, annunciata nel 2012 con un manifesto che riporta direttamente ai tempi di Campo Hobbit e Voce della Fogna.

Il particolare è che a patrocinare la manifestazione era un’amministrazione di centrosinistra formata da PD e Rifondazione Comunista.

Oppure questa scritta apparsa su un muro del quartiere romano di Testaccio, da sempre roccaforte rossa oltre che giallorossa:

E mettetela a confronto con questo vecchio residuo del tifo che fu.

Cambia il nome ma cambia soprattutto il carattere, e anche se il simbolo al centro rimane lo stesso, è difficile non avvertire come un mutamento di clima, un cambio di passo, un ribaltamento di pesi. Quasi che il vento avesse cambiato direzione, portandosi appresso un inconfondibile puzzo di fogna.

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